Con un “attacco” congiunto, Under, romanzo d’esordio della ventiquattrenne Giulia Gubellini, approda oggi in libreria e sul web con una serie da dieci episodi scritta e diretta da Ivan Silvrestrini (Come non detto, STUCK – The chronicles of David Rea). Le strategie di marketing applicate all’editoria restano – soprattutto per chi scrive – operazioni misteriose e talvolta di dubbio gusto, ma in questo caso non si può che restare sedotti dall’ambizione del progetto che Gloria Giorgianni ha concepito per RCS.
Incuriositi, abbiamo chiesto all’autrice di Under, Giulia Gubellini, e al regista e sceneggiatore della webserie, Ivan Silvestrini, di raccontarci i vari step dell’“avventura” che li ha visti entrambi protagonisti, e di condurci giù per la tana del coniglio, fin dentro il cupo universo di questa distopia tutta italiana.
Giulia Gubellini ha ventiquattro anni e vive a Bologna. Appassionata da sempre di horror, fantascienza e Takeshi Kitano, nel 2013 il suo racconto L’Orco Meccanico è diventato un piccolo caso di self-publishing sul web. Scrive sul blog Girasoli alla Mattina di libri, cinema e viaggi. Il tuo esordio letterario, L’orco meccanico – un racconto cyberpunk auto-pubblicato –, risale ad appena un anno fa. Adesso esci con Rizzoli e il lancio del tuo primo romanzo sarà accompagnato da un’omonima serie web diretta da Ivan Silvestrini… Raccontaci un po’ cos’è successo in questo breve periodo e come stai vivendo questi giorni d’attesa.
GIULIA GUBELLINI
Ho iniziato a lavorare sul testo di Under a luglio 2013, dopo un’inattesa chiamata dalla Rizzoli. Ancora oggi mi chiedo se sia successo davvero. Quando poi mi hanno annunciato della serie web mi è mancato il fiato, ho saltellato frenetica per casa nella mia personale danza della gioia. Ora, nell’attesa della pubblicazione, continuo a scrivere. Nel frattempo cerco anche di star dietro ai social e al blog. E sto cercando di recuperare il ritardo sulla mia scommessa letteraria (leggere una cinquantina di libri per il 2014).
La protagonista di Under si chiama Alice, e nelle prime pagine del libro la vediamo sprofondare in un cunicolo… Un caso?
Non è un caso. Il nome di Alice mi è stato chiaro fin dalle prime battute, tant’è che avevo scherzosamente intitolato il primo capitolo “E Alice cadde nel furgone nero del Bianconiglio”.
Come la famosa Alice di Carroll, che precipita in un paese che più che delle Meraviglie è da Incubo, la protagonista di Under si ritrova in un posto sconosciuto a lottare per riprendere il controllo del proprio destino. Niente Regina di Cuori, però, ma i tremendi T e F.
Sbirciando sul tuo blog di cinema e letteratura salta subito all’occhio una cosa: i tuoi scrittori preferiti – fatta eccezione per Harper Lee – sono uomini e hai una spiccata predilezione per l’horror, il distopico e la fantascienza, tutti generi generalmente “maschili”. Deduco che la dilagante passione per il new adult e l’erotico non abbia fatto presa su di te… Cosa cerchi in un libro e cosa hai cercato di offrire ai tuoi lettori quando hai scritto Under?
Partiamo da una premessa: penso che la divisione dei generi per “genere” – passami il gioco di parole – sia superata. Sempre più “femminile” e “maschile” si sovrappongono. Mi piace pensare che la fantascienza sia tanto maschile quanto femminile, come tutti gli ambiti, per esempio quelli tecnici (non a caso la sorella di Alice, Sara, è un ingegnere meccanico), senza che nessuno debba sorprendersi, o che la donna passi per “maschile”. Per rispondere alla tua domanda, in alcuni libri cerco un viaggio: la comprensione di una situazione reale (come per Il signore degli orfani di Johnson), un ricordo del passato (da Indietro nel tempo di Finney a Black Boy di Wright), oppure un incredibile balzo interstellare nel futuro. Altre volte inseguo solo divertimento, emozioni, brivido. Quello che voglio offrire al lettore, con Under, è intrattenimento. Vorrei, per citare il Re (S. King), «entrare nel suo spazio privato, prenderlo per il colletto e scuoterlo un po’». Poi c’è l’amore: impossibile scrivere una storia omettendo una parte così importante della vita.
Prima di cominciare quest’avventura avevi mai seguito una webserie? Cosa pensi di questo nuovo modo di raccontare storie?
Poche, e raramente fino alla fine. Faccio la stessa cosa con i telefilm e con i libri. Mi capita spesso di leggere il primo volume di una serie, esserne entusiasta, e poi aspettare un anno a prendere in mano il secondo. Il mezzo della serie web mi piace, è incisivo e intrigante, si adattata ai tempi personali.
Parlaci del tuo primo incontro con Ivan… Cosa vi siete detti? Gli hai fatto qualche raccomandazione su come trattare il tuo romanzo?
Il primo incontro con Ivan è stato via Skype, assolutamente improvviso. Io ero nella mia versione maglietta nerd e casacca della tuta, tutta scarmigliata. Prima cosa che dice lui: «Hai la luce alle spalle, vedo solo una sagoma nera». Giusto, penso io, è il regista. Diversi aggiustamenti di lampade dopo, siamo arrivati anche al romanzo e alla serie web. Nessuna raccomandazione da parte mia. Dovendo adattare il testo ai tempi della serie (10 puntate corte), i cambiamenti erano inevitabili. In generale, guardando un film ispirato a un libro, non mi pongo il problema della fedeltà assoluta. L’importante è che pellicola e romanzo non tradiscano le aspettative del lettore/spettatore.
Sei stata coinvolta nel processo di casting? Cosa hai provato la prima volta che hai “incontrato” i tuoi personaggi?
Non sono stata coinvolta, è stata una sorpresa. Sono andata a vedere una giornata di riprese, ed è stato molto divertente. Si avvertiva la passione di tutto il team al lavoro. Mi ha emozionato vedere l’entusiasmo nel ricreare un mondo frutto della mia penna. Più difficile sovrapporre il volto di un personaggio a quello dell’attore che deve interpretarlo, anche perché le differenze sono molte. Chi leggerà il libro e guarderà la serie non si annoierà di certo. E poi nel cast ci sono Gianmarco Tognazzi, Chiara Iezzi, tanti giovani e bravi attori, come Valentina Bellé… Che altro aggiungere? Let’s enjoy it!
In una precedente intervista hai dichiarato che anche “i cattivi” in Under mantengono connotazioni umane, che di notte magari hanno anche gli incubi… La letteratura e il cinema degli ultimi anni – penso al recente Maleficent, ma anche a Hannibal, le origini del male – sembrano seguire la filosofia del «Evil is made, not born». Perché credi sia così importante riaffermare questo principio?
Difficile pensare che un uomo sia cattivo o buono in maniera assoluta. Ciò detto, non ho intenzione di (ri)affermare nessun principio. In Under ho deciso che i cattivi avrebbero avuto qualche dubbietto su quanto stavano facendo, ma come cultrice del genere horror non ho nessun problema con i personaggi (umani e non) che passano dal cattivo al cattivissimo. Tant’è che Malefica, quella del cartone animato, è diventata un cult (il film lo devo ancora vedere). E su Hannibal, le origini del male… stendiamo un velo pietoso.
Quali sono stati i tuoi primi pensieri dopo la visione del trailer di Under. The Series?
Qualcuno mi dia un pizzicotto, sto sognando.
IVAN SILVESTRINI
Classe ’82, nato a Roma, Ivan Silvestrini è diplomato in Regia al Centro Sperimentale di Cinema. Il suo primo lungometraggio, Come non detto (2012), ha ottenuto un buon successo di pubblico e critica. Nel 2011 scrive e dirige la webserie, STUCK The Chronicles of David Rea, vincitrice di molti riconoscimenti. Il suo sodalizio col web continua con la mini serie Una grande Famiglia – 20 anni prima, prequel dell’omonima fiction Rai.
Ivan, comincio ringraziandoti per l’intervista. La nostra “conoscenza virtuale” risale a circa un anno fa, quando ti ho scritto una mail da fangirl psicopatica dopo aver visto la tua prima webserie, STUCK – The Chronicles of David Rea. Da allora ti ho tenuto d’occhio (professionalmente, non sono davvero una stalker), ed è così che ho scoperto del tuo ultimo lavoro, Under, una webserie che accompagna il lancio di un romanzo. Com’è nato il progetto e cosa ti ha spinto ad accettare di dirigere uno young adult distopico made in Italy?
L’idea è venuta alla produttrice Gloria Giorgianni: si pensava di fare una sorta di book trailer 2.0 per l’uscita di un romanzo su cui Rizzoli stava puntando moltissimo. Poi, con il mio ingresso, la serie ha raggiunto una tale complessità e relativa autonomia che si è deciso di puntare su una vera e propria operazione crossmediale con l’uscita in parallelo del libro e della serie a esso ispirata. La cosa interessante di questo genere di storie è la rappresentazione epica del conflitto interiore che gli adolescenti si trovano a vivere quando escono dal mondo “protetto” della scuola e vengono gettati nell’ “arena” della vita, del mercato del lavoro, e sono costretti a farsi a pezzi fra loro secondo regole stabilite da un’élite di “vecchi”. Mi piace pensare che esista un modo di giocare una partita diversa, ma per abbattere il velo di Maya di queste regole serve esperienza e coraggio… e bisogna munirsene in fretta. L’ambientazione deliberatamente italiana mi ha dato poi l’occasione di riflettere su ciò che succederebbe col re-instaurarsi di un totalitarismo in questo paese così incline all’obbedienza cieca a un leader carismatico. 1984 di Orwell è uno dei romanzi che hanno contribuito a cambiare la mia vita e la prospettiva sul mondo che viviamo. Quando mi hanno offerto una storia che raccontava il potere e la manipolazione del potere… come potevo dire di no?
Negli ultimi tre anni hai girato tre webserie, la prima, STUCK – The Chronicles of David Rea era un progetto interamente tuo – ma hai scelto di usare l’inglese come lingua, invece dell’italiano –, la seconda era il prequel della popolare fiction Una grande famiglia, e adesso Under, che è l’adattamento di un libro non ancora uscito. Sembra che in qualche modo tutte le tue scelte siano caratterizzate dal bisogno di trascendere un confine: quello del mezzo, nel caso di Una grande famiglia – 20 anni prima e Under, e quello linguistico nel caso di Stuck… O si è trattato solo di coincidenze?
Mi sento psicanalizzato, ma credo tu abbia ragione. Stuck nasceva senza condizioni e quindi ho pensato di omaggiare le mie influenze principali, che sono principalmente anglosassoni, americane o nordeuropee. Non volevo produrre qualcosa per il world wide web e poi (usando l’italiano) trovarmi confinato a una nicchia di un Paese già piccolo. In più ogni lingua ha il suo humor, e lo humor di Stuck non avrebbe funzionato allo stesso modo in italiano. L’inglese ti permette di mantenere un certo aplomb anche dicendo le peggiori bestialità, questo mi serviva per Stuck. Una grande famiglia – 20 anni prima era un interessante esperimento di contaminazione di un prodotto tradizionale e consolidato con una leggerezza stilistica “ringiovanente” (come l’idea stessa del prequel suggeriva). In quell’occasione – così come in Under –, fondamentale è stata la mia collaborazione con il direttore della fotografia, Davide Manca… Lungi da me, però, peccare di giovanilismo: io non sono giovane, se sono considerato giovane è solo una questione di relativismo. Ma io non sono giovane, te lo assicuro, non lo sono stato nemmeno da giovane. Under per me era una sfida da innumerevoli punti di vista, primo tra tutti quello di genere. Io amo il cinema/la narrazione di genere, ma mi sono scontrato più volte con il pregiudizio che non potesse essere il mio campo, avendo fatto principalmente commedie o melò. Ma soprattutto è una sfida per la serialità web, ancora oggi non si è capito bene come rendere il web un luogo in cui investire. È difficile monetizzare, e questo rischia di uccidere sul nascere un luogo meraviglioso dove c’è un enorme potenziale di nuova creatività… Se questa serie farà andar bene il romanzo – un supporto più facile da vendere –, potrebbe essere l’inizio di una nuova concezione produttiva: fare una serie per guadagnare altrove… Potrebbe essere un inizio, e sarei fiero di aver contribuito.
Quando si parla di adattamento, la questione cruciale è sempre la fedeltà al testo originale. Nel caso di Under, tra i produttori c’è RCS e la webserie fa parte del piano di marketing per il lancio dell’omonimo romanzo, quindi immagino che l’imperativo alla fedeltà fosse ancora maggiore. Tu – che sembri così restio a restate entro confini prestabiliti – hai trovato difficile muoverti all’interno di quelli tracciati dal libro? Ritieni di essere riuscito, nonostante tutto, a imprimere la tua firma su questo lavoro?
Gli editor di RCS sono persone sorprendentemente illuminate, hanno scelto/accettato me perché conoscevano i miei lavori. Mi hanno dato enorme libertà creativa, io me la sono presa e, quando hanno letto la sceneggiatura che avevo confezionato, non hanno contestato una riga. La serie racconta le atmosfere e i personaggi del libro, ma per farlo senza troppi “vorrei ma non posso” produttivi lo fa selezionando alcune parti della storia ed espandendole, comprimendo o lasciando fuori campo altro. La mia firma su quello che vedrete è totale, e ringrazio Giulia Gubellini (l’autrice) per essersi fidata di me ciecamente e aver creato questa storia così piena di mistero, tensione e metafore sociali.
Da Come non detto ad Avevamo vent’anni, da STUCK – The Chronicles of David Rea a Una grande famiglia – 20 anni prima, la tua è una cinematografia intimista, fatta di personaggi e universi interiori. Da regista, come ti sei preparato al confronto con una storia in cui l’azione e il modo in cui essa è coreografata hanno un ruolo così centrale?
Da regista non aspettavo altro, e non perché volessi liberarmi del “fardello delle emozioni” ma proprio perché volevo provare a portare le emozioni in un genere che troppo spesso le mette in secondo piano. L’emozione per me è sempre al centro della narrazione, qualsiasi storia si stia raccontando. A volte l’eccessivo intimismo dipende dalla mancanza di audacia nell’inventare storie high concept; io credo che in questo momento storico ci sia bisogno di storie high concept che imparino il più possibile dalla capacità che ha il low concept di approfondire i personaggi, ma li liberi in una dimensione più epica. C’è bisogno di più Epica.
Consegnati al passato i vampiri scintillanti e le protagoniste femminili timide e impacciate à la Twilight, l’immaginario adolescenziale odierno sembra dominato da eroine anticonformiste e volitive calate in scenari distopici e post-apocalittici. Non hai avuto paura del confronto con i grandi blockbuster americani e i loro budget da capogiro? E, soprattutto, cosa credi che Under abbia di nuovo da raccontare rispetto ai suoi cugini d’oltreoceano?
Under s’inserisce nel filone Urban Fantasy con un’inedita – almeno per me – ambientazione italiana, un’Italia di un futuro non lontano, un futuro decadente dove, in seguito a una violenta crisi, un nuovo totalitarismo ha preso il potere: quello che ho chiamato il Nuovo Ordine Italiano. L’Autorità Provvisoria al governo sta organizzando uno show sanguinario e punitivo per dare il “buon esempio” a chi non è proprio incline all’obbedienza… come in una sorta di Hunger Games / Battle Royale, ma con maggiore specificità circa le ragioni per cui si può finire nell’arena/bunker. Non più il caso, il sorteggio, ma la colpa. O almeno ciò che il potere considera una colpa. Se ho avuto paura? Questo non è un mestiere per gente paurosa.