Recensione dell’atteso film di Peter Jackson
Non è facile parlare di Lo Hobbit: La desolazione di Smaug. È un film che richiede uno sforzo preliminare allo spettatore: amare la storia nata dalla fantasia di J.R.R. Tolkien che aveva per protagonista uno hobbit di nome Bilbo Baggins e, soprattutto, amare un certo tipo di fantasy classico in cui battaglie e fughe mozzafiato abbondano. Perché La desolazione di Smaug è un viaggio alla scoperta di nuovi luoghi della Terra di Mezzo, nani (ed elfi) in fuga dagli orchi e scene dagli effetti visivi spettacolari alle quali però non si accompagna quell’anima che mi aveva fatto amare Un viaggio inaspettato.
Come ogni “film di mezzo”, La desolazione di Smaug manca di quel senso di compiutezza che possiamo aspettarci dalla terza parte del trittico, che vedremo nei cinema tra un anno. Senza fare spoiler, diciamo che il team di sceneggiatori, guidato dal regista Peter Jackson e composto da Fran Walsh, Philippa Boyens e Guillermo Del Toro, ha deciso di divertirsi, chiudendo il film in un punto di grande tensione narrativa. A prescindere da queste considerazioni generali, parliamo di La desolazione di Smaug più nel dettaglio. Prosegue il viaggio della compagnia di nani al seguito di Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage) che ha deciso di reclamare per sé il titolo che apparteneva ai suoi avi, riconquistando la città di Ereborn e l’archengemma, simbolo del potere del Re sotto la montagna. Per conquistare l’archengemma, custodita dal drago Smaug (che nella versione originale ha la voce di Benedict Cumberbatch), Bilbo (Martin Freeman) svolgerà un ruolo fondamentale, quello per cui Gandalf (Ian McKellen) gli ha chiesto di unirsi alla spedizione. Tutta la pellicola orbita attorno al confronto tra il piccolo hobbit e il colossale drago, così come Un viaggio inaspettato orbitava attorno al ritrovamento dell’anello e al gioco degli indovinelli con Gollum (Andy Serkis).
Per arrivare al fatidico incontro tuttavia, di cui abbiamo potuto gustare un assaggio già nel trailer, c’è da aspettare: il film dura due ore e mezzo e ci avviciniamo a Smaug solo in una ideale seconda parte. In generale, rispetto a Un viaggio inaspettato, viene dato meno risalto ai personaggi di Bilbo e Thorin. In particolare, Bilbo inizia a mostrare in nuce gli effetti negativi dell’anello, ma si tratta di cambiamenti impercettibili, e il processo evolutivo del personaggio sarebbe, anello a parte, già concluso nel primo film, in cui Bilbo 1- salvava la vita ai suoi compagni di viaggio, 2- spiegava che li stava aiutando perché desiderava che anche i nani avessero una casa a cui tornare, 3- salvava la vita di Thorin. La performance di Martin Freeman resta di buon livello: l’attore è riuscito a dare vita a un personaggio a tutto tondo, con cui è facile empatizzare e in cui ci si può riconoscere molto più che – volendo fare un confronto – con il Frodo di Elijah Wood. Di Thorin Scudodiquercia vengono mostrate in questo film, come già del resto accadeva in Un viaggio inaspettato, luci e ombre: Thorin è un re onorevole e coraggioso, ma il potere corrompe e talvolta le sue azioni diventano troppo avventate. È giusto mettere in secondo piano questi personaggi: l’opera di Jackson è stata corale fin da La compagnia dell’anello, e in questo episodio era necessario dare più spazio ai personaggi nuovi, primi tra tutti Legolas (Orlando Bloom), Tauriel (Evengeline Lilly) e Bard (Luke Evans). Apprendiamo qualcosa in più su Legolas rispetto a Il signore degli anelli. Ricordiamo che il principe elfico non compariva all’interno del libro Lo Hobbit, tuttavia la sua presenza riesce tutto sommato ad armonizzarsi, regalando ai fan un simpatico richiamo alla sua futura grande amicizia con Gimli, sebbene sia funzionale all’introduzione nel film di Tauriel. Tauriel, interpretata dalla Evangeline Lilly di Lost, è un’elfa silvana dedita alla medicina e al combattimento. È l’unico personaggio femminile in La desolazione di Smaug (in Un viaggio inaspettato, ricordiamo, c’era Galadriel) ed è stata creata ad hoc dal team di Jackson e soci.
Vorrei aggiungere alcune considerazioni: è difficile portare sul grande schermo una storia priva di personaggi femminili, e Tolkien ha sempre adottato un punto di vista sin troppo maschile nei suoi libri; non è, quindi, la presenza di Tauriel o il suo personaggio a disturbarmi, ma il fatto che, se è giusto inserire un ruolo femminile laddove esso manca, non è altrettanto giusto inserirlo per farne l’interesse amoroso di un altro personaggio. Avrei preferito una Tauriel con più autonomia narrativa. Di rilievo anche il ruolo di Bard che, insieme a Gandalf, è l’unico umano della vicenda. Jackson ci fa capire chiaramente che avrà un ruolo di primo piano nella sconfitta di Smaug perché, come Thorin, ha un passato da riscattare.
Un discorso a parte lo merita Smaug. La proiezione stampa del film è avvenuta in italiano, e quindi non potrei commentare a dovere la performance di Cumberbatch – dovrei far riferimento solo al trailer internazionale rilasciato da Warner. Tralasciando la voce del drago quindi, bisogna dire che Smaug è ricostruito divinamente. In Un viaggio inaspettato Jackson di proposito non ce lo mostra, in modo da farcelo scoprire poco per volta, e che lo vedessimo risvegliarsi da un lungo sonno e levarsi in volo con occhi pieni di meraviglia insieme allo stupefatto Bilbo. Da segnalare che Freeman & Cumberbatch hanno già lavorato insieme nella serie della BBC Sherlock, che ha avuto un buon riscontro di pubblico e ha reso i due attori una delle coppie televisive più amate in UK e non solo, quindi tanto di cappello ai produttori per essere riusciti ad approfittare della cosa.
Il 3D HFR (High Frame Rate) regala al film una eccellente qualità visiva, sebbene lo spettatore che non è abituato all’alta risoluzione e al mondo dei videogame possa inizialmente sentirsi spaesato dalle immagini che scorrono sullo schermo.
Riallacciandomi a quanto scrivevo a inizio recensione, La desolazione di Smaug richiede uno sforzo preliminare allo spettatore: chi ama Tolkien e Bilbo Baggins apprezzerà il film nella sua interezza, chi non è altrettanto propenso a lasciarsi trasportare tra le insidie della Terra di Mezzo soffrirà in alcuni passaggi centrali del film. A livello emotivo questo secondo episodio non ha la stessa capacità di coinvolgere del primo, ed è per questo che andrebbe inquadrato come film di mezzo. Aspettiamo Lo Hobbit: Andata e ritorno dunque, che sarà nei cinema nel 2014.
Pia Ferrara