
Parola d’ordine: rovesciamento. L’episodio finale di True Blood ha spiazzato parecchio.
Siamo vampiri, licantropi, fate, ibridi di qualche tipo, ma alla fine tutto quel che davvero vogliamo è un po’ di pace, una vita tranquilla e un “sano” imborghesimento… E alla fine dell’articolo qualche news sulla nuova stagione.
True Blood per spiazzarci, in questa season finale, ci ha mostrato che cosa succede quando il “supereroismo”, come categoria mentale, viene messo in secondo piano – anzi, del tutto accantonato – e viene lasciato prevalere l’accontentarsi tipico dei comuni mortali. Scopriamo così che fine fanno, in un’ottica apparentemente banale, i nostri personaggi se lasciati a loro stessi. È come se ognuno si fosse chiesto: “Che cosa voglio davvero? Cosa mi darebbe soddisfazione, o almeno un po’ di pace?”.
Guardando una serie supernatural, noi spettatori cerchiamo spesso l’esatto contrario della nostra realtà. Confessiamolo, abbiamo voluto Sookie da sola a fronteggiare Warlow, il personaggio più potente della serie (almeno sulla carta), pronta a diventare la sua sposa/fata/vampiro pur di salvare i suoi; Bill nelle vesti gloriose di divinità; Eric nell’armatura scintillante di eroe vendicatore; un Sam ragionevole e pio come Enea, colui che salva e traghetta altrove quella quota minimale di umanità, bene e giustizia per preservarla dalla distruzione.
A
lla fine, invece, viene a galla quello di cui la gente si può accontentare: Sookie aveva bisogno soltanto di qualcuno che le volesse bene, che desiderasse proteggerla senza sminuirla, senza negarle il riconoscimento della sua forza, che volesse passare il tempo con lei per il piacere della sua compagnia. Ecco dunque spiegata l’esistenza di Alcide in questa stagione. Fare il capobranco è troppo complicato: harem di lupe incazzate, insubordinazioni, codici non scritti da rispettare, sfide, culto della forza e della potenza da mantenere vivo: decisamente troppa fatica. Meglio una compagna carina e pepata, una casuccia accogliente e la televisione da guardare la sera prima di fare altro.
E Sookie? Al supermercato del soprannaturale ha scelto il tizio col migliore rapporto qualità/prezzo. Ce la possiamo prendere con lei? Liberissimi. La sua posizione l’ha spiegata parlando con Jason, che le confessa l’emozione che prova per la vampira Violet. «Quando ti batte forte il cuore è facile credere che qualcuno si prenderà cura di te per sempre. Ma sto imparando che “per sempre” è una rarità a questo mondo», dice Sookie. Nella rinuncia alla perfezione dell’inesauribile sogno di felicità che portiamo nel cuore, innervato necessariamente del “per sempre”, si può leggere realismo, si può leggere lo sbiadire dei sogni, quell’accontentarsi – appunto – che può essere visto come una virtù, ma anche come un deprimente rassegnazione.
E i vampiri? Qual è il loro desiderio più sfrenato? Sfoggiare un abbigliamento casual di colori chiari, come si usa fare la mattina, dedicarsi agli sport più impensati, fare l’amore su un prato: l’antitesi del dark. Insomma, l’erba del vicino è sempre quella più verde. Noi potremmo desiderare la potenza, l’immortalità, l’oscurità, il sangue: loro vogliono essere “normali”. La cartina al tornasole di questo procedimento inverso è il nostro caro Jason: sciupafemmine inveterato e promiscuo? Sì, ma anche personaggio alla continua ricerca di uno scopo che nobiliti e riempia di senso la sua esistenza. Ed ecco come ci si può accontentare: questo “What If” ce lo dimostra. Puoi desiderare costantemente una cosa – quella “cosa” che ha a che fare con Violet – giusto perché ti è negata. E, qualunque cosa sia, può diventare totalizzante, l’obiettivo per il quale si è disposti a fare di tutto. Credo sia una sorta di contrappasso: l’inferno ritagliato su Jason Stackhouse. Violet è un altro archetipo, di certo improntato a pregiudizi da cartolina. È europea, la sua stanza sotterranea ha pizzi, volant e la Madonna di Częstochowa appesa al muro. «Siamo monogami integralisti», dice Violet, incarnando la donna furba e capace di ridurre al guinzaglio un uomo. Bah.
Bill soffre della sindrome del giorno dopo: sono stato un dio, ho fatto cose da standing ovation, ho salvato i miei… ehm sì, ho anche tradito il presunto amore della mia vita per una causa più alta (sic), e ora? Che faccio? Chi sono? Quale altro grande scopo posso perseguire? Ma come ho fatto a non pensarci prima? Scrivo un libro, concedo interviste, arrivo a migliaia di persone … POSSO ANCORA ESSERE UN DIO! E, mentre lo faccio, partecipo alla trasformazione della percezione morale della gente attraverso l’arma rispetto alla quale zanne e superpoteri scompaiono: la televisione, la comunicazione di massa.
L’intervistatore urbanamente curioso gli chiede: «Allora, corrisponde al vero che sei entrato nella villa del governatore a Baton Rouge, in Louisiana, e hai staccato la testa a Thomas Burrell?»
«Non è che non se lo meritasse, Lawrence.»
«Quindi ti rendi conto che il tuo libro è una confessione irrevocabile lunga 350 pagine. Non hai paura di essere processato per quello che hai fatto?»
«E quale giuria mi condannerebbe?»
Questo ribaltamento della percezione morale attraverso la condivisione mediatica è quello che accade ogni giorno nel nostro quotidiano. E loro, gli sceneggiatori, scoprono il gioco. Era un cattivo: l’averlo decapitato fa di me un eroe. E se vendo tanti libri e se tutti, guardandosi e annuendo, sono d’accordo con quel che dico io, che altro c’è da chiedersi? Sono un dio se domino il vostro modo di pensare. E se in più non rischio niente e faccio soldi, vuoi mettere? Potrebbe dirlo anche la HBO.
L’onnipotente Billith o William Compton autore di best seller? Qualcosa in noi si ribella? Avremmo voglia di gridare «Non vale!»?
Be’, queste scene sono concepite apposta per noi spettatori vogliosi di fantastico, di sublime, di romantico, di violento, di hard. Siamo costretti a rispecchiarci, a prendere coscienza dei nostri desideri e della nostra realtà. È come se i nostri personaggi avessero valicato lo schermo e si fossero seduti fra noi, con i nostri piccoli sogni e tenui obiettivi borghesi. Mi è venuto in mente Pirandello con i suoi sei personaggi, ma … glissons (sorvoliamo). Hanno solo scoperchiato la scatola nella quale sbirciavamo.
Prendiamo Warlow. Non è forse il tipo affascinante, potente, forse unico, attraente proprio perché pericoloso, che vuole solo noi – noi donne –, e promette di condurci nel regno di cui saremo le regine? Eppure lui è anche portatore di una teoria: le fate sono il bene, i vampiri sono il male. E se il male gli ha tolto il paradiso, ora desidera qualcosa (un amore, ma piuttosto una donna oggetto) per riempire quel vuoto. En passant è una teorizzazione interessantissima del destino dell’umanità e del perché il rapporto a due, così inteso, non funziona: semplicemente, non è amore. Abbiamo di fronte Christian Gray e uno dei tanti protagonisti di femminicidio racchiusi nello stesso personaggio. Ed è lui stesso a fare outing: «Mi conoscevi meglio di quanto io conoscessi me stesso, perché a quanto pare è vero che voglio solo scoparti, possederti, e usarti per il tuo sangue». Se non altro, è cosciente della propria natura, così come Sookie, che non ci casca proprio del tutto.
Lo scenario finale è un capolavoro: l’apologia dell’adattamento. Lo stato è assente, le chiese funzionano: usiamole. «Questa città… Bon Temps… è abbandonata a se stessa. E queste persone non si fidano più del loro governo, neanche un po’. Si fidano solo delle loro chiese. Quindi se separiamo stato e chiesa, siamo completamente fottuti». Questo dialogo ci dice che i nostri personaggi si sono dati alla politica, e magari anche nel senso migliore… Però, che straniamento: Sam sindaco con la mogliettina incinta; Andy papino attento e Arlene ereditiera generosa. Un cameo pure per la trascuratissima Tara. I pastori chiedono il rimescolamento, la parità, la collaborazione, l’annullamento delle discriminazioni in nome dell’opportunità, della salvaguardia reciproca contro un nemico nuovo di zecca: l’importante, infatti, è trovare un cattivo convincente (il vero segreto della politica spicciola). È sempre così che funziona, no? E Sookie porta il cappellino. E Jason si preoccupa per il prelievo di sangue.
No, non è stato un episodio finale canonico, ma io sono molto curiosa di vedere che succederà l’anno prossimo.
Ah, già dimenticavo: Eric. Che fa lui, potendo scegliere, in questo what if? Se ne sta a leggere nudo in un luogo fresco e deserto… Il paradiso, praticamente. E l’importante è sapere che Alexander Skarsgård nella prossima stagione ci sarà. 
E ora qualche news! Le prime notizie sulla settima stagione cominciano a trapelare, insieme alla voce che potrebbe trattasi del capitolo conclusivo della serie. Gli sceneggiatori hanno intenzione di racchiudere la storia all’interno dei confini di Bon Temps, contrapponendo la piccola cittadina al resto del mondo, riducendo in generale le storyline – che, in effetti, sono state un po’ troppe in questi ultimi anni – e focalizzandosi sul rapporto e sulla convivenza fra vampiri e umani che, come è ovvio, non sarà facile con l’arrivo dei vampiri zombie nati dalla mutazione del virus V. All’inizio il triangolo sarà fra Sookie, Alcide e Bill, che cercherà di riacquistare credibilità presso la sua antica amante. Violet (Karolina Wydra) e James (Luke Grimes) diventeranno regular, e questo ci piace, ed Eric, magari non subito, tornerà. Il materiale, insomma, c’è e le premesse sono state poste: Tara e la madre verificheranno se davvero le persone possono cambiare, e lo stesso faranno Andy e Jessica. E il branco dei lupi? Giudicando a peso Alcide, diremmo che lui solo ci può abbondantemente bastare!
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A
lla fine, invece, viene a galla quello di cui la gente si può accontentare: Sookie aveva bisogno soltanto di qualcuno che le volesse bene, che desiderasse proteggerla senza sminuirla, senza negarle il riconoscimento della sua forza, che volesse passare il tempo con lei per il piacere della sua compagnia. Ecco dunque spiegata l’esistenza di Alcide in questa stagione. Fare il capobranco è troppo complicato: harem di lupe incazzate, insubordinazioni, codici non scritti da rispettare, sfide, culto della forza e della potenza da mantenere vivo: decisamente troppa fatica. Meglio una compagna carina e pepata, una casuccia accogliente e la televisione da guardare la sera prima di fare altro.
L’intervistatore urbanamente curioso gli chiede: «Allora, corrisponde al vero che sei entrato nella villa del governatore a Baton Rouge, in Louisiana, e hai staccato la testa a Thomas Burrell?»
«Non è che non se lo meritasse, Lawrence.»
«Quindi ti rendi conto che il tuo libro è una confessione irrevocabile lunga 350 pagine. Non hai paura di essere processato per quello che hai fatto?»
«E quale giuria mi condannerebbe?»
Questo ribaltamento della percezione morale attraverso la condivisione mediatica è quello che accade ogni giorno nel nostro quotidiano. E loro, gli sceneggiatori, scoprono il gioco. Era un cattivo: l’averlo decapitato fa di me un eroe. E se vendo tanti libri e se tutti, guardandosi e annuendo, sono d’accordo con quel che dico io, che altro c’è da chiedersi? Sono un dio se domino il vostro modo di pensare. E se in più non rischio niente e faccio soldi, vuoi mettere? Potrebbe dirlo anche la HBO.
L’onnipotente Billith o William Compton autore di best seller? Qualcosa in noi si ribella? Avremmo voglia di gridare «Non vale!»?
Be’, queste scene sono concepite apposta per noi spettatori vogliosi di fantastico, di sublime, di romantico, di violento, di hard. Siamo costretti a rispecchiarci, a prendere coscienza dei nostri desideri e della nostra realtà. È come se i nostri personaggi avessero valicato lo schermo e si fossero seduti fra noi, con i nostri piccoli sogni e tenui obiettivi borghesi. Mi è venuto in mente Pirandello con i suoi sei personaggi, ma … glissons (sorvoliamo). Hanno solo scoperchiato la scatola nella quale sbirciavamo.
No, non è stato un episodio finale canonico, ma io sono molto curiosa di vedere che succederà l’anno prossimo.
E ora qualche news! Le prime notizie sulla settima stagione cominciano a trapelare, insieme alla voce che potrebbe trattasi del capitolo conclusivo della serie. Gli sceneggiatori hanno intenzione di racchiudere la storia all’interno dei confini di Bon Temps, contrapponendo la piccola cittadina al resto del mondo, riducendo in generale le storyline – che, in effetti, sono state un po’ troppe in questi ultimi anni – e focalizzandosi sul rapporto e sulla convivenza fra vampiri e umani che, come è ovvio, non sarà facile con l’arrivo dei vampiri zombie nati dalla mutazione del virus V. All’inizio il triangolo sarà fra Sookie, Alcide e Bill, che cercherà di riacquistare credibilità presso la sua antica amante. Violet (Karolina Wydra) e James (Luke Grimes) diventeranno regular, e questo ci piace, ed Eric, magari non subito, tornerà. Il materiale, insomma, c’è e le premesse sono state poste: Tara e la madre verificheranno se davvero le persone possono cambiare, e lo stesso faranno Andy e Jessica. E il branco dei lupi? Giudicando a peso Alcide, diremmo che lui solo ci può abbondantemente bastare!
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