
Episodio di passaggio? Non tanto.
I giochi cominciano ad avvicinarsi al loro clou e, gira che ti rigira, il contrasto torna a essere quello fra Bill ed Eric.
Sono riusciti a farci giungere a questo con un bagaglio di retro testi e significati, però, nient’affatto banale. Non è infatti semplice decodificare il dialogo iniziale fra i due. Il vichingo ha chiesto al sudista di salvare Nora e non è successo. Lo ha pregato, aprendosi alla possibilità che lui fosse davvero qualcosa di più: un dio. Ma Bill è solo un uomo che è rimasto ferito da Sookie quando lei l’ha impalettato per salvare Eric. Alla fine, Bill è solo un tizio con il suo progetto. Eric, pur ferito profondamente dalla morte di Nora, è capace di vedere dentro il suo rivale: “Ti senti solo in imbarazzo perché, per una volta nella vita, hai corso un rischio credendo in qualcosa che non fossi tu?”. Anche Eric ha provato a chiedere, a credere. Odia questa delusione e così odia Bill.
Stanno parlando della fiducia e quindi della fede, per questo Bill menziona con disprezzo Godric, qualcuno in cui Eric aveva creduto. Nella disillusione di questo credere – perché anche Bill aveva apostrofato con spregio Lilith in un episodio precedente – il supervampiro si costruisce il suo progetto per risolvere la situazione, e nel farlo sacrifica l’uno per i molti: non si dà tanto da fare per salvare Nora. Gli sceneggiatori fanno in modo che noi non lo si accantoni facilmente, che non lo si giudichi male con troppa facilità, perché lui ci ha provato a dare il proprio sangue a Nora e il suo fine – salvare i suoi amici – è lodevole; Eric, invece, vuole lottare per la persona, voleva la salvezza proprio di Nora. Vuole le stesse cose che vuole Bill, ma il fatto di usare metodi differenti è fondamentale. È come la differenza fra l’individuo e la persona. L’individuo può essere sacrificato per il bene di molti: è l’assunto dell’ideologia – quella cosa che ha fatto tanto lavorare la ghigliottina ai tempi di Robespierre: eliminiamo i nemici della Rivoluzione purché essa trionfi –, la causa innanzi tutto: per questo Sarah Newlin ringrazia la sua distorta immagine di Dio dopo aver ucciso chi attentava al suo progetto. La persona invece è altro: è un qualcosa di prezioso e unico che va preservato prima di ogni cosa. È questa una concezione sacrale, religiosa, perché attribuisce valore assoluto a ogni “io”, è storicamente un fatto che deriva dal Cristianesimo.
In True Blood dunque sta succedendo che la concezione religiosa fondamentalista e cieca alla realtà viene causticamente derisa, ma, nello stesso tempo, una “religio” umana viene attentamente distillata e disperatamente cercata dai personaggi. Eric parte da Nora, dal dolore e dalla rabbia che lei non ci sia più: è la rabbia sempre nuova che la morte suscita. Sam dirà: “Non so perché la morte continui a sorprendermi”. Sam Merlotte corrisponde al pio Enea e costituisce un perfetto contraltare a tutti i deliri di potenza: la sua umanità vulnerabile lo porta a soffrire della morte di Terry, lo porta a riaccogliere un amico che lo aveva tradito, Alcide, lo porta a desiderare che Nicole rimanga con lui poiché porta in grembo suo figlio (non c’è un minimo di privacy con questi mutaforma, eh!), anche quando Sookie finalmente si offre di ricambiare il suo amore: lui si inchina alla sua responsabilità, declinando l’offerta, di fronte al valore che gli si mostra. La morte continua a sorprenderlo perché la vita porta in sé qualcosa di grande, di più grande e il dolore ne è la testimonianza.
Questo è mostrato anche in altri momenti clou dell’episodio: James dice a Jessica che non è più così rassegnato a morire, poiché quello che hanno avuto insieme potrebbe essere qualcosa “per cui vale la pena vivere”. Lo sapete che non sta parlando del sesso, vero? Quella scintilla che si accende ogni tanto quando ci si innamora e che Sookie ha vissuto con Bill e poi con Eric e che le sembra di aver visto morire ogni volta, è davvero una fiammella divina. Non è Dio e non può essere un idolo, ma non può smettere di essere segno che qualcosa di grande davvero ci sia. Così, se Jessica e James sembrano un’alba, Sookie celebra in questo episodio l’apparente rinuncia alla speranza.
Sulla tomba dei suoi genitori si getta dietro le spalle i ricordi, si sforza di assumere in se stessa il concetto che tutti mentono– lei che, leggendo la mente, lo sapeva già, ma non voleva rassegnarvisi – e accantona come impossibile l’ipotesi di un destino buono: “Perché la morte non è più la fine. Lo sappiamo tutti, adesso. La morte e’ solo una cazzo di fermata in una strada che continua ad andare avanti senza che si riesca a scorgere una meta”.
Celebrando dolorosamente questa perdita di senso del Tutto, si prepara con attenzione e cura dei dettagli, per questo matrimonio/funerale, con una amara dignità che ci parla di quello di cui sono capaci le donne, si agghinda per qualcosa che non vuole, ma che è necessario alla salvezza di quelli che non può smettere di amare. Sarà smentita questa grande eroina tragica? (Notato che non sto affatto scherzando?)
Eric l’ha giocata, l’ha tradita trovando l’ingresso per il suo sancta sanctorum, perseguendo i suoi scopi con i suoi personali metodi, come continuano a fare tutti. In effetti Eric, Bill e Sookie hanno esattamente lo stesso obiettivo, salvare la loro famiglia, e lo perseguono aderendo a schemi, a ruoli diversi: il titano, il demiurgo e la vittima sacrificale.
Questi i grandi temi di questo episodio, secondo la mia opinione, ma le tante piccole pennellate che si aggiungono non sono meno interessanti. Alcide colpisce duramente Nikki: la violenza maschile classica, ma guardata dai vari punti di vista. Nikki e il branco pretendono da Alcide che lui aderisca completamente al profilo predeterminato del maschio dominante, che fa della violenza e del culto della forza il suo punto di leva. Che ci stanno dicendo? Che questa aberrazione è colpa della società? Forse. A loro volta, sia Nikki che Violet, la vampira che afferma il suo diritto di prelazione su Jason, sono altrettanti simboli di prevaricazione passivo-aggressiva di tipo femminile. Aggressività rituale, codificata e non meno inumana. Sarò io, sicuramente, ma True Blood sta sempre più assomigliando a un manuale di antropologia. Devo parlare di Sarah Newlin? Preferisco di no, ma forse avete ragione: è il grande, perversamente ironico big bad di questa stagione.
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Autore: Antonella Albano
ago 07, 2013
Last Updated ago 07, 2013
True Blood 6×08 “Dead Meat”
Episodio di passaggio? Non tanto.
I giochi cominciano ad avvicinarsi al loro clou e, gira che ti rigira, il contrasto torna a essere quello fra Bill ed Eric.
Sono riusciti a farci giungere a questo con un bagaglio di retro testi e significati, però, nient’affatto banale. Non è infatti semplice decodificare il dialogo iniziale fra i due. Il vichingo ha chiesto al sudista di salvare Nora e non è successo. Lo ha pregato, aprendosi alla possibilità che lui fosse davvero qualcosa di più: un dio. Ma Bill è solo un uomo che è rimasto ferito da Sookie quando lei l’ha impalettato per salvare Eric. Alla fine, Bill è solo un tizio con il suo progetto. Eric, pur ferito profondamente dalla morte di Nora, è capace di vedere dentro il suo rivale: “Ti senti solo in imbarazzo perché, per una volta nella vita, hai corso un rischio credendo in qualcosa che non fossi tu?”. Anche Eric ha provato a chiedere, a credere. Odia questa delusione e così odia Bill.
Celebrando dolorosamente questa perdita di senso del Tutto, si prepara con attenzione e cura dei dettagli, per questo matrimonio/funerale, con una amara dignità che ci parla di quello di cui sono capaci le donne, si agghinda per qualcosa che non vuole, ma che è necessario alla salvezza di quelli che non può smettere di amare. Sarà smentita questa grande eroina tragica? (Notato che non sto affatto scherzando?)
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