Recensione: London Calling – Chiara Listo e Giuseppe Vitale

London Calling: a tale from Norwich, un romanzo gotico, horror, crepuscolare, post-apocalittico, psicologico e persino steampunk, per immergersi in una Londra cupa e cruda

Nel 1905 il Mondo si è ammalato. Una strana Piaga ha reso sterile la terra, mutato la vegetazione, rianimato i cadaveri che, come zombie, hanno iniziato a vagare in cerca di carne umana per cibarsi.

Dopo la prima ondata del loro risveglio (detta out break), che in meno di un anno ha ucciso milioni di esseri umani e li ha costretti alla fuga e all’isolamento in nascondigli sicuri, i superstiti hanno coraggiosamente riconquistato i centri urbani (in quella che viene comunemente chiamata la Reclamazione) e ora, nel 2103, abitano città soffocanti, inquinate e buie, animate da una nuova forma di energia, detta galvanica, estratta dal terreno e convivono con ogni sorta di mostro cui l’immaginazione umana abbia mai dato forma: ghoul, vampiri, dhampir, animati (gli zombie), spettri, poltergeist, licantropi.

È a Londra, nella città più caparbia e più stolidamente attaccata alla Vita, anche se nelle sue forme più superficiali e pragmatiche, che Victor Howard-Norfolk II, XI Marchese di Norfolk, illuminato scienziato e alchimista, cerca nel sotterraneo della sua dimora di trovare la via per far rivivere l’amata moglie, uccisa brutalmente qualche anno prima, utilizzando un corpo prometeano.

Bastano poche pagine per comprendere come London Calling sia una sorta di omaggio al capolavoro gotico di Mary Shelley, Frankenstein; or, the modern Prometheus: l’omonimia dei protagonisti; l’uso della terminologia shelleyana (energia galvanica, corpo prometeano…); la citazione nel testo del romanzo stesso, dato per edito e ampiamente conosciuto; la ricerca del potere sulla Vita e sulla Morte, che diventa ossessione; l’ineluttabile solitudine della Creatura, che qui diventa lo status di ogni personaggio; il destino luttuoso che grava su tutti i protagonisti. Si tratta, però, di una rivisitazione che intende prendere piede dall’opera miliare e superarne poi i confini di genere e tempo, aggiungendo alla nebbiosa atmosfera londinese inquietanti elementi postapocalittici e crepuscolari, innestando al tessuto medico-scientifico-alchemico originale degenerazioni orrorifiche e manipolazioni genetiche, assolutizzando la solitudine, l’indifferenza e l’incomprensione come conseguenza intrinseca della disumanizzazione che ha fatto seguito alla Piaga.   

“Contemplare la polvere che danza nel sole ha sempre avuto un che di ipnotico per me fin da bambino. Mio padre chiamava sporco i batuffoli che rotolano sostenuti dalla brezza e oggi so che era un uomo cieco, chiamava sporco ciò che io chiamo Vita, l’inizio della Vita e anche la sua Fine.”

Questa frase, che apre il romanzo d’esordio dei giovanissimi autori, ne racchiude l’anima più profonda: in un mondo non più fatto per gli uomini, non più fatto per la Vita, è difficile saperla scorgere. Nella natura ormai ingiallita e morta; nell’aria satura di fumi e gas; negli altri esseri umani, spenti, provati, ciechi; nei mostri e nelle aberrazioni generati dalla Piaga. Victor per primo, nella sua ricerca spasmodica di un processo – scientifico, alchemico o soprannaturale che sia non importa – capace di manipolare la Vita, la svilisce e la mortifica, perché il suo amore per Helena è in realtà un’ossessione che calpesta qualunque altra cosa e persona lo circondi. Victor è cieco alla Vita: non la vede nel figlio, in cui non riconosce l’unica vera eredità della moglie, non la vede in Juliet e nel suo silenzioso sentimento e non la vede in Mimì, una piccola indifesa che potrebbe guarire sotto le sue cure. Del resto, tutti i personaggi galleggiano in una sorda, spaventata e inalienabile solitudine. Non a caso tutti i bambini del romanzo si spengono – ciascuno a suo modo – sotto i colpi dell’indifferenza dei genitori o di chi dovrebbe prendersi cura di loro e sembrano solo per qualche istante rifiorire, accarezzati – spesso per la prima volta – da uno sguardo benevolo che li sa vedere veramente, anche se dura sempre troppo poco. E non a caso, ancora, il liet motiv della seconda parte del romanzo è “Nessun Howard muore solo”, unica modesta consolazione per un’esistenza condotta nell’incomprensione e in una desolazione che non può che guidare verso ripiegamenti egoistici.

London Calling: a tale from Norwich è un romanzo gotico, horror, crepuscolare, post-apocalittico, psicologico e persino steampunk. Un romanzo ricco, dunque, che nasce da un’ottima idea e si sviluppa con alcune buone soluzioni narrative e una lodevole scelta di caratterizzazione dei personaggi, che si discosta da qualunque semplificazione manichea e di stereotipizzazione; un romanzo che soffre però, purtroppo, di un editing poco curato e poco efficace che, invece di valorizzarlo, in qualche modo lo depaupera (innumerevoli refusi affaticano la lettura, alcuni brani avrebbero richiesto maggior attenzione e altri, invece, avrebbero dovuto esser rivisti, ridotti o tagliati).

Vale comunque la pena immergersi in questa Londra dalle tinte scure e disperate, in questa storia d’amore che non riconosce l’Amore, in questa caccia alla Vita in cui tutti, invece, incontrano – non inattesa, ma nemmeno benvenuta –la Morte.

London Calling: a tale from Norwich - VOTO: 3.5/5

Anno: 2013 - Nazione: Italia - Pagine: 223 - Prezzo: € 4,84
Autore: Chiara Listo e Giuseppe Vitale
Edito da: Prospero
Traduttore:
Data di uscita in Italia: maggio 2013 - Disponibile in eBook:

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