Luci ed ombre di una saga distopica divenuta un cult per molti in libreria e al botteghino
Non necessariamente un libro – o una saga, in questo caso – che sa conquistare e addirittura rapire, è valido anche concettualmente e contenutisticamente e la Hunger Games saga ne è forse un triste esempio. Considerando il grande valore che può ricoprire una distopia indirizzata a un pubblico YA – con l’implicito messaggio di libertà, protesta nei confronti di abusi e totalitarismi di ogni ordine, consapevolezza – e soprattutto considerando quanto la realtà distopica della Collins in particolare sia capace di coinvolgere tale pubblico (come probabilmente anche uno più maturo), che ne ha fatto un vero e proprio cult, divorandone i romanzi, attendendo spasmodicamente l’uscita dell’ultimo, trasformando la riduzione cinematografica del primo capitolo in un campione di incassi al botteghino, ebbene la saga avrebbe potuto davvero fare e dire molto. E invece l’autrice ha inspiegabilmente intrapreso un percorso narrativo poco comprensibile – e, probabilmente, poco gradito ai più – e ha via via nei tre volumi smontato la potenza dell’impianto distopico, depauperizzato l’implicito messaggio nobile e istruttivo, ridicolizzato e abbrutito (nel senso di degradato, imbarbarito) le caratterizzazioni dei protagonisti.
Il primo libro, nonostante non possa vantare un’incontaminata originalità, perché mutua diversi elementi da altre opere, li rielabora però in modo interessante; in un certo senso, sembra la versione intimistica, già intrinsecamente cinematografica e destinata a un pubblico adolescente, del più crudo e lacerante Battle Royale di Kohushu Takami, e per questo capace di raggiungere forse un pubblico più ampio. Propone personaggi carismatici e indelebili, dai comprimari alle numerosissime spalle e comparse; un riprovevole gioco mediatico che costringe al massacro un gruppo di giovani e una protagonista ribelle che non solo si ritrova ad agire contro il potere illegittimo e perverso, ma si apre anche per la prima volta all’amore; un’incisiva cromatizzazione delle varie realtà – le scale di grigio per il distretto del carbone della protagonista Katniss, il verde ombroso della foresta in cui con l’amico Gale va a cacciare di frodo, il turbinio di colori della folle e viziosa Capitol City e dei suoi abitanti. Insomma, in questo primo volume c’è tutto il necessario per conquistare il pubblico e ricambiarlo trasmettendogli un messaggio: dallo stile fresco e coinvolgente alle descrizioni efficaci ed evocative, dalla protesta nei confronti di insulsi e deliberatamente crudeli totalitarismi all’azione nell’arena, dall’amore famigliare ai primi batticuori, e giusto per tenere in sospeso i lettori, un triangolo di quelli che creano qualche problema di schieramento.
Il secondo libro reitera parzialmente lo schema del primo, ma inserisce nuove interessanti componenti sia al world-building distopico sia al plot romance e forse tra i tre è quello più riuscito, proprio per la potenziale apertura e per i nuovi sbocchi che offre alla macrotrama. Ma, retrospettivamente, si possono cogliere già nella sua stesura i semi che porteranno nel terzo e conclusivo volume invece che allo sviluppo sperato, alla corruzione e allo svuotamento dell’intera saga, perché in esso l’autrice screditerà i valori della giustizia, della correttezza personale, della limpidezza e minerà seriamente l’integrità della protagonista, rivelando un animo egoista, sciocco, arido.
La letteratura è, tra le altre innumerevoli cose, intrattenimento. Ma quella rivolta a un pubblico young adult, in particolar modo poi se affronta temi come quelli legati alle distopie di ogni genere, deve necessariamente caricarsi della responsabilità del messaggio che trasmette. E magari, per riflesso, responsabilizzare. Le scelte narrative dell’autrice della trilogia seguono forse la via del realismo, cinico ma istruttivo. Ma il possibile appello all’elezione di un tale realismo “educativo” e disincantante, a parer mio impallidisce a fronte del valore e del potere comunicativo che può invece ricoprire la proposta di un ideale forte e cristallino, che si fa ammirare e che ispira l’imitazione.
Difficile rinnegare il potere di attrazione e coinvolgimento della saga, capace di tenere i lettori incollati alle sue pagine dimenticando pasti e coprifuoco serali; ma a maggior ragione per questo e per le potenzialità iniziali, si fatica a non ritenerla un triste, irritante e deludente fallimento.