Iron Man 3: l’uomo di ferro colpisce ancora

Iron man 3, l’ultimo film e secondo sequel dell’incredibile binomio Marvel/Disney.

ha totalizzato ai botteghini il miglior debutto di sempre, dopo The Avengers l’anno scorso. Un successo grandissimo in USA e in tutto il mondo. Come possiamo spiegarlo?

Intanto è innegabile che quello dei supereroi e dei cinecomics sia un trend in crescita, eppure altri film di questa serie, che si può vedere riassunta e schematizzata con molta efficacia qui, non hanno avuto tutto questo impatto, come ad esempio Thor (2011) o Captain America – il primo Vendicatore (2011).

Per intanto: ci sono diversi motivi per andare a vedere un film come il terzo episodio del ciclo Marvel dedicato all’uomo di ferro e l’apprezzamento e l’eventuale godimento dipendono molto dal tipo di spettatore che si è. Se siamo adolescenti fan dei fumetti cerchiamo nello spettacolo determinate caratteristiche e quasi certamente nel film diretto da Shane Black le abbiamo trovate; se siamo adulti “relativi”, che sono andati a vedere un film di cui hanno sentito parlare – e perché non c’era altro di altrettanto attraente nei cinema della nostra città –, potremo dire le cose più disparate, da quanto è figo Robert Downey Jr. (se siamo donne… ma non è detto) a quanto lunghe siano state le scene d’azione, a quanto incredibili siano stati gli effetti speciali.

Potremmo anche dire: “la tipica americanata” e saremmo colpevoli, perché tanto lo sapevamo già. Se siamo adulti motivati, amanti dei fumetti, innamorati della Marvel, avremmo motivi abbondanti per essere contenti, se siamo troppo tradizionalisti però, di quelli cioè che vogliono eroi e villain esattamente come se li immaginano, potremmo aver sofferto un pochino, ma forse sono state proprio le variazioni il motivo del gradimento planetario, andando a conferire chiaroscuro a un format che sarebbe potuto risultare scontato.

Il primo fattore di successo è stato innegabilmente Robert Downey Jr., attore sensibile, gigione, protagonista nato. Il suo Tony Stark nevrotico, in preda a crisi di panico, incapace di accettare la dimensione intergalattica e apocalittica che la vicenda degli Avengers ha portato nella sua vita, è risultato talmente umano da avvicinarlo allo spettatore. La sua difficoltà a gestire il rapporto con Pepper, con la tentazione di farsi sostituire da uno dei suoi numerosi alter ego, la sua fuga nel mondo “meccanico” delle sue corazze, dove costruire per distrarre la mente e proteggersi da ciò che è doloroso fronteggiare – il suo senso di inadeguatezza – sono una sola cosa. La catarsi per lui, dopo la spettacolare distruzione della sua villa/laboratorio/fortezza, diventa allora ripartire da zero. E di fronte alle minacce letali che tolgono il respiro e sembrano prevalere, il ragazzino che lo aiuta gli dice – e l’America dice a se stessa – «Sei un meccanico, pensa a cosa potresti costruire». Davanti ai nemici che distruggono il senso di sicurezza e tolgono il fiato, bisogna capire da che cosa si può ripartire per ritrovare se stessi.

E Robert Downing Jr. interpreta le paure, la grandeur, l’anticonformismo, l’ironia del suo personaggio rendendo Tony Stark indimenticabile.

Il nemico: la scelta di rendere il temibile Mandarino solo una macchietta, una caricaturale imitazione di Bin Laden, un involucro che serve solo allo spettacolo che va in onda e fornisce comodi spauracchi alle paure della gente, ha scontentato i lettori di fumetti dediti all’ortodossia, che si aspettavano lo stesso Mandarino dei comics, ma ha efficacemente rappresentato l’idea che il nemico reale sia, come è ovvio, il potere economico che non si ferma davanti a nulla, la scienza che non accetta limitazioni etiche, la mentalità guerrafondaia di quegli ex soldati che vedono nel potere delle armi e della violenza la loro unica identità. L’interpretazione di Ben Kingsley è stata eccezionale. I dialoghi firmati da Shane Black – bravissimo sceneggiatore prima che regista – sono stati esilaranti quando era il caso. Da sottolineare anche James Badge Dale, nel ruolo del letale soldato mutato che mastica chewing gum, perché … beh, il ragazzo è da tenere d’occhio.

La scena della distruzione della villa e quella dell’aereo presidenziali sono forse tra le scene d’azioni migliori degli ultimi anni, sebbene ad alcuni siano parse troppo lunghe. Molto gradevole la colonna sonora originale.

Una chicca: i continui riferimenti a Downton Abbey, l’elegante serie inglese molto amata ormai dappertutto, e talmente lontana dallo stile fumettistico americano da risultare una voluta e apprezzatissima autoironia, non possono che farci amare ancora di più questo film, che decisamente vale il costo del biglietto.

 

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