Lo Hobbit: La recensione

Paesaggi magnifici, nani carismatici e un hobbit impacciato. Ma dov’è la magia de Il signore degli Anelli?

Lo Hobbit è il primo romanzo di J.R.R. Tolkien, scritto quasi vent’anni prima de Il signore degli anelli. Usando un termine cinematografico, è il prequel della fortunata trilogia.

Proprio per non abbandonare i personaggi – e gli attori – tanto amati dal pubblico, il regista Peter Jackson ha ben pensato di creare continuità con la saga cinematografica. Un anziano Bilbo  Baggins, in procinto di festeggiare il suo compleanno – quella famosa festa con cui comincia La compagnia dell’anello –, decide di scrivere le sue memorie, da tramandare al caro nipote Frodo. Il racconto di Bilbo s’incentra su Erebor, antica e prospera città abitata dai nani e governata dal saggio Re Thrór. Purtroppo, il sovrano si lascia corrompere dal fascino del denaro e cerca di acquisirne sempre in quantità maggiore. L’unico a coglierne la follia è suo nipote Thorin, abile guerriero e figlio di Thráin II. Smaug il drago, attratto dall’oro, attacca il regno e ne prende possesso, uccidendo il Re e costringendo i nani all’esilio. Le disavventure del popolo nanico continuano durante la Battaglia di Azanulbizar, dove muore Thráin II, caduto per mano del perfido Re dei Goblin. Thorin è ora l’erede al trono e guiderà il suo popolo con saggezza, conservando nel cuore il desiderio di vendicare il padre e riconquistare Erebor. A questo punto entra in scena il giovane Bilbo Baggins, scelto da Gandalf per aiutare Thorin e altri tredici guerrieri nani a riconquistare la loro città. Incontrerà orchi, goblin, elfi e Gollum. Bilbo scoprirà di avere la stoffa dell’eroe, come già Gandalf aveva intuito e, proprio per questo, lo aveva coinvolto nell’avventura.

Pur essendo Lo Hobbit un unico libro, Jackson, ritenendolo un romanzo troppo ricco per realizzarne una sola trasposizione, lo ha suddiviso in tre film, il primo dei quali porta il titolo Lo Hobbit – Un viaggio inaspettatoIn questo primo film, Jackson ha deciso di puntare più sul gruppo di nani guerrieri che non su Bilbo Baggins. Thorin e i suoi fedeli compatrioti sono legati da onore, lealtà e fiducia. Possiedono uno spiccato senso della famiglia e sono possenti guerrieri in grado di tenere testa ad orchi, goblin ed elfi. E non solo! Perché amano divertirsi, la buona tavola e non disdegnano più boccali di fresca birra a pasto, seguiti da rutti sonori. Jackson è stato lungimirante, perché i nani, che nel Signore degli Anelli erano in secondo piano rispetto agli affascinanti elfi, diventano qui accattivanti e irresistibili.

L’elemento fantasy è presente in ogni attimo del film, ma senza esserne mai preponderante: il vero fulcro è la compagnia dei nani. Soprattutto Thorin, il personaggio più bello del film, che surclassa Bilbo e Gandalf: eroe dannato, guida saggia e guerriero indomito, il cui desiderio maggiore è riconquistare il regno che è suo di diritto. Però, si badi bene, non cerca oro o potere: vuole ripagare i torti subiti dai suoi avi, vuole vendicare la morte di suo padre. Davvero un personaggio affascinante, che diventerà indelebile grazie anche alla bravura dell’attore Richard Armitage, qui al suo primo ruolo di rilievo.

Cos’è, allora, che rende Bilbo Baggins così importante? Forse è qualcosa legata al fatto che ognuno di noi è Bilbo Baggins: quella voglia di avventura, di mettersi in gioco e l’avversa paura di lasciare la routine e la casa, fanno di questo impacciato hobbit il nostro alter ego cinematografico. Il personaggio, quindi, che più di tutti gli altri, innesca quella famosa immedesimazione cinematografica di secondo grado (quella, appunto, legata al personaggio; mentre la prima avviene attraverso l’occhio della macchina da presa n.d.r.). Martin Freeman, alias Bilbo, ci regala un hobbit un po’ goffo, un po’ intimidito dalla vita, autoironico e con una certa flemma inglese, com’è giusto che sia in questa prima fase del suo viaggio inaspettato. Vedremo come Freeman saprà gestire la crescita di questo complesso personaggio.

Il film entrerà, comunque, di prepotenza nella storia del cinema per la piccola rivoluzione tecnica portata da Jackson: i 48 fotogrammi al secondo, anziché 24. Un forte impatto che, letteralmente, getta lo spettatore nel film: un 3D senza bisogno degli appositi occhiali. Gli scenari, i costumi e gli splendidi paesaggi della Nuova Zelanda, dov’è stato girato il film, sono qui esaltati ed enfatizzati.

 Lo Hobbit è un film riuscito ma, nonostante tutto, la magia e la malia che avevano esercitato La compagnia dell’anello, anche su chi non aveva letto il romanzo, ancora scarseggiano.

Peccato.

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