Gloriose origini di un genere bistrattato, con visione ottimistica rivolta al futuro.
La storia ha il vizio di ripetersi. Così va per la moda, per la meteorologia, per la politica. E così va anche per la letteratura. Quando si parla di generi letterari, immancabilmente, prende vita la diatriba infinita sul fantastico. E per fantastico intendo proprio fantastico: un genere (quasi) estinto, la cui caratteristica tipica è il continuo oscillare sul sottile confine tra reale e immaginario. A farne parte, dunque, sono quei racconti e romanzi che, attraverso l’uso della metafora, mettono in atto la rappresentazione delle crisi intime dell’uomo, le sue paure e nondimeno le sue ataviche contraddizioni.
Un genere ben distante dal fantasy (suo sottogenere), che è invece racconto immaginativo, totalmente estraneo alla realtà quotidiana oggettiva. Nel fantasy classico le storie si svolgono in altre dimensioni, in mondi e universi all’interno dei quali, per i personaggi, è normale incontrare un Troll nel bosco, o alzare gli occhi e vedere passare uno stormo di Draghi. Nel fantastico nulla di tutto ciò accade: il mondo di riferimento è quello reale che, a un certo punto, viene turbato da un evento bizzarro, particolare, che sulle prime appare inspiegabile, misterioso. È l’abilità dell’autore a fare tutto, a lasciare il lettore con il dubbio che l’evento in questione sia avvenuto o meno, a costruire un palcoscenico credibile, vivo e a gestire i risvolti weird – allucinazioni, elementi onirici – che contraddistinguono il genere. Che questo sia di carattere visionario o mentale, secondo la concezione Calviniana, non ne muta, di fatto, i tratti essenziali: climax crescente, eventi e personaggi soprannaturali o comunque psico-immaginari che sconvolgono il quotidiano – un quotidiano reale –, situazioni che esulano dalla realtà oggettiva – paure, incubi, ossessioni – e che prendono vita spesso solo nella mente del protagonista che, in questo caso, funge da specchio, riflettendo il significato primo del romanzo fantastico: l’esplorazione del reale attraverso l’introspezione e la psico-immaginazione.
“Esiste allora una diabolica provvidenza che prepara l’infelicità nella culla, che getta premeditatamente esseri angelici, ricchi d’intelligenza in ambienti ostili, come martiri nel circo? Vi sono dunque delle anime sacre, votate all’altare, condannate a camminare verso la gloria e la morte, calpestando le proprie macerie? L’incubo delle tenebre stringerà in una morsa eterna queste anime elette? Inutilmente si dibattono, inutilmente si addentrano nel mondo, ai suoi fini ultimi, agli stratagemmi; perfezioneranno la loro prudenza, sprangheranno tutte le uscite, barricheranno le loro finestre contro i proiettili del caso; ma il diavolo entrerà nella serratura: una perfetta virtù sarà il loro tallone d’Achille, una qualità superiore il germe della loro dannazione”.
Edgar Allan Poe
Altri mondi, quindi, attendono il lettore, non staccati dalla realtà, ma coesistenti in essa, celati dietro gli specchi, nei muri, all’interno degli armadi: luoghi dove sia possibile trascorrere lassi di tempo variabili e affrontare maledizioni e dure prove con la sola arma dell’analisi interiore. Esistono poi interi universi “ai confini della realtà” da esplorare a bordo di bizzarre macchine, navigando nelle più perverse distorsioni della fisica, della matematica e di tutte le leggi che regolano lo spazio e il tempo.
“Suppongo che il suicida mentre appoggia alla tempia la canna della pistola provi per ciò che succederà l’attimo seguente quello che in quel momento provai io: un sentimento di curiosità”.
H.G. Wells, La macchina del tempo
Il fantastico è tutto questo, e, se mi permettete, ancora di più. Le sue origini sono antiche come il mondo. L’uomo nasce con la capacità d’immaginare: questa particolare propensione gli permette, sin dall’alba dei tempi, di creare dal nulla esseri di natura divina – inizialmente legati alle forze degli elementi –, che ben presto diventano un mezzo per spiegare le origini della terra che lo ospita, o delle stelle che osserva brillare oltre le cime degli alberi. L’uomo immagina, crea. E se il mito è il padre di tutte le divinità, la fantasia umana è la madre di tutte le storie narrabili che, come dichiarava Ende, sono infinite.
“Ma questa è un’altra storia, e bisognerà raccontarla un’altra volta”
Michael Ende, La Storia Infinita
Questa breve digressione storica, mi porta a concludere che il genere fantastico, non solo sia radicato nella più profonda genealogia dell’essere umano, ma si tinga di filosofia ogni qual volta esplora mondi – spesso interiori – estranei a quello in cui viviamo; si spinge nel passato o nel futuro, plasmandoli secondo la sua personale idea di ciò che è stato e del suo naturale divenire; o indaga concetti trascendenti come quello di anima, di eterno e di assoluto. Cos’è dunque il fantastico nella sua accezione metafisica, se non la più acuta indagine del reale e delle sue ombre?
La prima volta in cui il fantastico assume connotazione di genere è durante la seconda metà del Settecento, con il romanzo gotico. E, senza fare torti ai suoi avi, questo nuovo modo di narrare storie possiede un carattere ontologico che lo rende, di fatto, più vicino all’uomo. Perché gli incubi, insieme a ogni sorta di mostruosità aberranti, hanno luogo nell’inconscio: il romanzo fantastico rappresenta, dunque, il viaggio iniziatico e insieme la fuga dall’oppressione della vita, giungendo al senso più profondo di ricerca in un oltre immaginato.
A cavallo tra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, il genere assume, grazie ad autori come Salgari, Collodi, Rodari, una funzione eminentemente didattica, rivolgendosi a un pubblico più giovane rispetto a quello dei due secoli precedenti. Questa deriva accompagnerà il romanzo fantastico per molti anni, perdendo gradualmente le sue peculiarità educative e conoscitive, per cedere il passo a un’incontrollabile e tragica discesa agli inferi di una narrativa sterile, povera, priva di qualsiasi spunto di riflessione, nonostante il Novecento pulluli di autori magnifici e rivoluzionari. A conferma di ciò, basterà citare alcuni nomi: Philip K. Dick, precursore del cyberpunk ed esploratore di temi sociologici e filosofici come la manipolazione sociale, l’analisi della realtà e la ricerca del divino (e qui torniamo alla metafisica); George RR Martin, il gigante di “Fevre Dream” (anche ottimo autore fantasy), capace di dare vita a un vampiro umanizzato e ad atmosfere di lovecraftiana memoria, e infine Michael Ende, labirintico maestro della metafora psicologica e politica, artefice della rappresentazione narrativa del grande mondo interiore (Fantàsia, ndr), che l’uomo trascura a favore di un grigio nulla che tutto divora.
Esiste tuttavia un’enorme differenza tra il linguaggio onirico usato da Ende, quello utopico di Martin e lo Sci-Fi di Dick, tanto che possiamo raffigurare il genere fantastico come un enorme paiolo, all’interno del quale si muovono – e spesso si mescolano – i più svariati sottogeneri, quali l’horror, la fantascienza, il gothic con le sue declinazioni (gothic horror, gothic fantasy, etc), il fantasy, il mithpunk come distorsione dell’urban fantasy, il fantasy epico, e ancora new weird, dieselpunk, steampunk e, per concludere – ma la lista sarebbe ben più lunga –, lo slipstream (termine coniato da Bruce Sterling, giornalista e autore cyberpunk, nel 1989). Quest’ultima voce comprende tutti quei racconti e romanzi che presentano sbavature surreali in contesti realistici, e si differenzia dal mainstream per quella sua sfumatura bizzarra: un mix tra fantascienza e narrativa convenzionale, insomma, troppo assurdo per chiamarsi mainstream e troppo poco “strano” per confluire nella fantascienza. Autori visionari riconducibili allo slipstream sono Murakami Haruki col suo realismo magico (Kafka sulla Spiaggia, Einaudi 2008; La fine del mondo e il paese delle meraviglie, Einaudi 2008), Margaret Atwood, Jorge Luis Borges (con lui la metafisica abbraccia il fantastico) e l’esponente della beat generation W. S. Burrohugs. Quest’ultimo, è stato uno scrittore avanguardista della fantascienza interiore: una distorsione della realtà vista con gli occhi di un navigato consumatore di oppio (le sue opere sono semi-autobiografiche).
Un genere estinto, dunque, ma non del tutto. Quando si parla di fantastico, oggi, sempre in nome di quella tragica discesa di cui dicevo poc’anzi, purtroppo si è propensi a pensare a una narrativa semplicistica, adolescenziale, dalle tematiche banali, quando non del tutto assenti. Tale fenomeno è però da rivalutare alla luce degli eventi sociali dell’ultimo ventennio: l’ascesa verticale dei media e l’enorme avanzamento tecnologico, uniti a politiche di smembramento della cultura, hanno fatto sì che il libro divenisse un oggetto di nicchia, quasi anacronistico, e che le nuove generazioni assorbissero le storie attraverso lo schermo della tv, piuttosto che grazie alla lettura. Ciò ha finito col dar luce a una massiccia produzione letteraria priva di radici, stereotipata, sprovvista d’anima. Si sono, insomma, perse di vista le origini a favore di un uso indecente dei vari sottogeneri, che non ha certo contribuito a incrementare il consenso della critica intorno al fantastico. Il paranormal romance, stile sui generis che in questi anni si è imposto sul mercato librario, non è altro che una deriva del romanzo sentimentale, cui è stata aggiunta la componente soprannaturale. L’urban fantasy – che, per via delle sue ambientazioni nel mondo reale suburbano, a oggi è quello che potrebbe maggiormente avvicinarsi al genere fantastico “classico” –, d’altra parte, subisce l’influsso negativo delle serie tv – talvolta bellissime, ma non compatibili con il linguaggio narrativo, a meno di sporadici casi dove a fare la differenza è l’originalità messa in scena dall’autore –, rimanendo quindi manchevole (nei pochi romanzi approdati in Italia) della sua vena metafisica, psicologica e – se vogliamo estremizzare – etica.
“Nonostante l’attuale copiosità del flusso di racconti che trattano di altri mondi e di altri universi, nonché di intrepidi viaggi tra essi attraverso lo spazio cosmico, probabilmente non è affatto esagerato affermare che soltanto una mezza dozzina di questi prodotti, compresi i romanzi di Wells, possiedono la benché minima pretesa di serietà artistica o di dignità letteraria”.
H.P. Lovecraft
Per concludere, come dicevo all’inizio di questo percorso, la storia è destinata a ripetersi. Il cambiamento verso il recupero di una narrativa fantastica di qualità è probabilmente in atto. Un grande aiuto, nella ricerca e diffusione del romanzo fantastico con gli attributi, potrebbe arrivare dal blogging. Fenomeno attuale quanto rivoluzionario della comunicazione, capace di determinare – nel bene e nel male – mode e tendenze del mercato librario, il blogging potrebbe portare alla rinascita di un genere bistrattato, dimenticato dalle testate giornalistiche e dai media perché giudicato infantile e leggero. Se animato da spiriti idealisti e guidato da personalità attente a non confondere le mode con i generi letterari, un blog può fare la differenza e piantare solide basi per la fioritura di una nuova concezione della letteratura fantastica, ripartendo dalle sue altissime origini. Basti pensare al ruolo giocato dalla rete nell’affermazione di autori quali Pullman, con Queste Oscure Materie; Stroud, con la sua splendida Trilogia di Bartimeus; Gaiman, con romanzi quali Anansi Boys e American Gods, e allo stesso Zafon. Perché – parliamoci chiaro – per scrivere un romanzo fantastico non è sufficiente mettere insieme vampiri, fantasmi, licantropi e streghe e aggiungere al mix un po’ d’amore e di sesso. No. Il soft porn fantasy non è fantastico, le parodie e le rivisitazioni hard-fantasy dei classici non sono fantastico. Il fantastico richiede cuore. Bisogna saper narrare storie e, soprattutto, avere storie da raccontare. Occorre aver letto Verne, Poe, Shelley, Lovecraft, Bulgakov e Shakespeare, almeno, e possedere un background degno di questo nome. Ci vuole anima (metafisica), una buona dose di follia personale e un pizzico di genialità: bisogna essere un po’ weird, ecco (credendo vides…). E in fine – soprattutto – è necessario essere portatori di un messaggio da regalare al mondo.
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dic 05, 2012Posted By
Giuseppe VitaleQuest’articolo è molto interessante, devo dire che l’ho letto tutto d’un fiato e che ho trovato la ricostruzione che hai fatto praticamente ineccepibile, complimenti.
Vorrei aggiungere una sola piccola nota riguardo i filoni del fantasy classico che esistono ancora nei romanzi della collana di Dragonlance ( Margaret Weis e Tracy Hickman ) e in quelli del mondo dei Forgotten Realms di cui R.A. Salvatore è il maestro praticamente indiscusso. Parliamo di quel fantasy eroico nato con Tolkien e poi riscoperto alcuni decenni dopo prima di venire lentamente soppiantato dalle Paranormal Romance e dall’Urban Fantasy.
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dic 05, 2012Posted By
emanuela valentiniHai ragione Giuseppe, ma come ben sai, in un articolo non si poteva parlare di tutto. Già così mi pare di avere appena sfiorato temi che andrebbero indagati con pagine e pagine, con citazioni, digressioni, figurati. Solo sul periodo della beat generation ci sarebbe da scrivere un libro, per non parlare delle influenze, delle commistioni e degli scivoloni dei vari sottogeneri del fantastico nel calderone del mainstream…