Once Upon a Time 2×02 “We are Both”

Episodio molto denso questo, soprattutto concettualmente. Benché i ritmi non siano ancora quelli a cui OUAT ci ha abituato.

Prima di tutto una manciata di indizi, su Cora e il suo rapporto con Tremotino e Regina, sul cappellaio matto, che — vorrei ricordare — i cappelli li confeziona; su Pinocchio che sparisce…

Poi una serie di scenari aperti a cui tornare, come la frazione di mondo delle fiabe in cui Emma e Snow sono esiliate; ma soprattutto un sistema di riferimenti tematici, ancorati a simboli. Il tutto sovrastato dall’approfondimento di due personaggi chiave: il Principe e Regina.

Regina è certa di volere Henry e da questo parte. Ha tutti contro: raccoglie quello che ha seminato come regina cattiva e come sindaco di Storybrooke; così cerca scorciatoie, cioè il famigerato libro di magia che era lo strumento privilegiato della sua maligna madre. Attraverso lo sperimentato strumento del flashback, di cui questa serie non ha smesso — e meno male — di servirsi, conosciamo un altro pezzetto di passato della Dark Queen e un altro tassello della sua personalità: in pratica il trait d’union fra la soave fanciulla privata del suo amore e la donna bieca e senza scrupoli che conosciamo. Posso ricordare che l’episodio si intitola “We are Both”? Ma su questo ci torniamo.

Regina si riprende dunque il libro di magia, quello che l’onnipresente Tremotino aveva dato a sua madre. Glissando sul fatto che promana una nebbiolina fucsia, rimaniamo un attimo su questo simbolo: libro, cioè conoscenza. Viste le mele che sull’albero di Regina da nere ridiventano rosse? Libro, conoscenza del bene e del male, mela … vi ricordano niente? E Tremotino nelle vesti del tentatore. E sì, è il Peccato originale, che qui è sinonimo di potere. Potere uguale libertà. “Potrai avere i cuori delle persone nelle tue mani” dice Cora alla figlia, invogliandola a percorrere la sua strada. Era forse falso? La conoscenza del bene e del male è una fregatura. Infatti Regina AVRA’ i cuori nelle sue mani. Quite literally.

Potere aveva voluto Tremotino per combattere la sua vigliaccheria e i suoi nemici, di potere ha bisogno Regina per liberarsi di sua madre Cora. Del potere della magia ha bisogno ora per riprendersi quello che vuole: Henry. E qui casca l’asino. Perché la sua esperienza di figlia iper oppressa le dice che non è quello il punto. Sua madre voleva per lei che fosse come se stessa, che conseguisse ciò che le sembrava il non plus ultra. E Regina propone lo stesso a Henry. Potere. “Sono prigioniero perché mi vuoi bene” le dice invece il saggio bambino. “Io non voglio essere te”: le stesse parole. Insomma una lezione con l’abecedario.

Amore e potere non vanno d’accordo, perché il primo è disposto al sacrificio e il secondo invece trattiene nelle grinfie egoisticamente l’oggetto del desiderio fino a farlo sfiorire. Così Regina lascia andare Henry e lo affida al suo bel nonnino. “Voglio redimermi” dice.

Diciamocelo, Once Upon a Time ci va pesante: non sono nemmeno simboli. Ci mancano solo le freccette per farci capire ancora meglio. Stilisticamente potevano essere un po’ più allusivi e meno didascalici… comunque…

Il dialogo iniziale fra il Principe e Regina era già stato chiaro: lei gli aveva detto “Non prenderò lezioni sul crescere figli da uno che ha messo sua figlia in una scatola e l’ha spedita nel Maine”. Costoro hanno un problema in comune: barcamenarsi fra l’etica eroica — piuttosto marmorea — e la lamentosa neghittosità del maschio moderno, lui; e fra la monolitica cattiveria della regina cattiva e la necessità di non allontanare gli affetti della donna in carriera, lei. “We are Both”.

La figura del Principe comincia finalmente a essere interessante. E la lettura ce la dà lui direttamente nel discorso alla gente di Storybrooke in fuga. “David era debole e piuttosto confuso” riconosce. Vero. “Ha ferito la donna che amo”. Sacrosanto. Il Principe ha dimostrato intelligenza e coraggio nell’affrontare Tremotino e Regina. Ma, ammette lui stesso, nel mondo delle fiabe era bravo soprattutto con la spada, era Snow che teneva i rapporti.

“Noi siamo entrambi” vuole dire che trovare se stessi vuol dire essere gli uni e gli altri. Cioè? Che vuol dire, simbolicamente parlando, essere personaggi delle fiabe? La vocetta di Henry fa di tutto per svelare l’arcano: “Nel libro — l’altro! — succedono sempre cose tremende prima che le cose vadano a finire bene” dice. Non in molti l’ascoltano. Lui, la flebile voce della «fede» — che si può leggere anche «fiducia»  per superare i nostri radicati pregiudizi moderni—, sta dicendo che si può credere nel lieto fine, che c’è un bene a cui si può e si deve tendere, che ci si può fidare dei buoni leader. Attenzione qui: nel mondo della fantasia chi governa può essere onesto e degno di fiducia; non sarà un messaggio poco subliminale degli Stati Uniti in periodo elettorale? Infatti alla fine il popolo di Storybrooke crede nel Principe azzurro, gli sorride e torna ad aprire i negozi, dopo la sua rassicurante affermazione: “Io vi proteggerò”. (Oddio! Non vorrà dire anche questo: Americani, fate ripartire l’economia???).

Insomma «noi siamo entrambi» vuol dire che le nostre debolezze e le incertezze di uomini contemporanei rendono più umane e cariche di sano dubbio le rigidità degli schemi eroici — tipo allontano mia figlia così poi ci salva tutti, mi sacrifico per il bene degli altri senza pensarci un attimo, sfodero la spada contro i miei nemici senza esitazioni — e il coraggio e la fiduciosa perseveranza che trasudano dal mondo fiabesco innervano di senso e di motivazione le squallide e demotivate esistenze quotidiane.

Da tutto questo arabesco tessuto da Once Upon a Time, nel frattempo, ci abbiamo ricavato una figura virile finalmente più convincente, e una interessante e non scontata — dato che Regina ha comunque conservato il libro cattivo — traiettoria di redenzione per le rampanti e grintose Power addicted.

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