True Blood 5×07 “In The Beginning”

True Blood e il Neopaganesimo.

Ammettiamolo, alla HBO ci vogliono dire qualcosa e noi dobbiamo avere il coraggio di distinguere fra il trash, lo splatter e le dissacrazioni un messaggio, per quanto mimetizzato in una trama che appare a volte troppo frammentata.

Premettiamo dicendo che forse è impossibile separare l’obiettivo di “vendere”, cioè di far parlare di sé grazie a scene hot e all’horror di lega più o meno bassa dal voler comunicare qualcosa di preciso attraverso una certa estetica e certi contenuti. È vero che dalla prima stagione le cose sono cambiate, ma non la mission della serie. Andando oltre, si potrebbe accettare anche il dato che sarebbe stato più facile per Alan Ball insistere ancora sul triangolo “one girl, two vampires” e svariati altri tipi di Sups (mutaforma, licantropi, ecc. ecc.). D’accordo, così già non è più un triangolo, ma ci siamo capiti. Sookie che si danna fra Eric e Bill avrebbe attratto di più, come fanno sempre i triangoli; per quanto alla quinta stagione, pure, avrebbe stancato anche gli shippers inossidabili, ma il punto non è mai stato questo. Quello che TB ci vuole mostrare è lo spaccato di un moderno neopaganesimo e questa serie è coerente con questo assunto fin dall’inizio.

Ora, i classicisti perdonino, ma torna alla mente il mondo della decadenza romana: il Satyricon di Petronio, L’Asino d’oro di Apuleio, che raccontavano improbabili avventure di personaggi poco eroici (in senso omerico) fra situazioni lascive e divinità arrabbiate, ricche di digressioni e composte in quadri divergenti, nel senso che le peripezie potevano avere protagonisti diversi, in una sovrapposizione e accumulazione di storie.

Leggete la frase che segue: “I personaggi de [….] esprimono la sensazione degli uomini del tempo, ovvero quella di non essere più in grado di dominare il proprio destino. Molto rilevante anche l’influsso delle religioni misteriche, che danno al romanzo una delle sue specifiche connotazioni”. Non sembra riferirsi a True Blood? Invece viene da Wikipedia e si riferisce al romanzo greco, genere di intrattenimento dell’epoca ellenistica, poi confluito appunto nelle opere degli autori romani sopracitati. Certo potremmo scomodare anche Boccaccio, ma non vogliamo provocare svenimenti a alcuno. True Blood insomma vuole descrivere la decadenza, dissacrando i miti.

Tutto questo per dire che lo spezzettamento ha una sua ragion d’essere, che la riduzione a macchiette di certi personaggi, che seguono derive quasi prefissate, è prevista e appositamente contemplata. Mi riferisco per esempio a Tara, che, ferita per l’ennesima volta dalla madre, quando sente qualche parola di consolazione, si butta ad abbracciare Pam, improbabile figura di creatrice e madre putativa, che subito stoppa l’effusione (la adoriamo, vero?). Non vuol dire che in qualche episodio successivo il rapporto fra queste due non possa contemplare qualche approfondimento psicologico in più, ma per ora l’intento è quanto meno parodistico.

La stessa cosa si può dire per Hoyt e i “gruppi d’odio”. Il timore che il nostro semplicemente cadesse nell’eccesso opposto rispetto al rapporto con Jessica l’avevamo già espresso nel commento allo scorso episodio. La ignoro, sono disposto a tutto pur di stare con lei, mi annullo fino a morire perché lei era la mia ragione di vita, la odio. True Blood ci sta mostrando una dinamica psicologica elementare: il singolo ha bisogno comunque di un’appartenenza e Hoyt, che, fin dalla prima stagione, era riuscito a distaccarsi dalla figura ingombrante della madre, aveva costruito un “noi” con Jessica e ha perso anche il legame fondante con il suo migliore amico Jason, ora, semplicemente, trova un ambiente emotivo in cui sentirsi accolto in quel gruppo che, nascosto dietro le maschere, colpisce tutti quelli di cui ha paura e quindi odia, gli esseri supernaturali, i “sups”. Psicologia elementare delle masse: trova un nemico comune e hai trovato un’appartenenza. Psicologia elementare dell’individuo: odiare è più facile che amare. La seconda cosa comporta il sacrificio di sé, la prima il sacrificio (rituale) degli altri: di gran lunga più comodo.

La definizione “gruppi d’odio” è prettamente americana, ma il fenomeno no, purtroppo. L’essere che odi diventa il tuo idolo, così non sei solo nel nulla. Per dire che la riduzione a macchietta di Hoyt è funzionale a qualcosa, ma speriamo non sia l’ultima parola sul personaggio.

Arlene e Holly. “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”. Razionalismo e cosa? Fideismo? Il sano vecchio buon senso di Arlene non ritiene possibile che l’Ifryt, il mostro vendicativo di fumo e fuoco che perseguita il suo Terry Bellefleur, possa essere reale e trova la facile soluzione della follia del suo amato. Holly, praticante wicca, le ricorda che ne hanno viste di cotte e di crude finora a Bon Temps e quindi è “possibile” che quel che dice Terry sia vero. Vi ricordate Mulder e Scully di X-Files? Razionalismo scientista contro l’“open mind”, la mente aperta che contemplava l’esistenza dell’impossibile. A quasi vent’anni di distanza l’acqua è passata tumultuosa sotto i ponti e True Blood esagera e inquadra la faccia opposta del nichilismo: la superstizione possibilista, tanto ognuno può avere l’opinione che vuole e la verità non esiste, giusto?

Lafayette e la magia: il nostro cuoco è salvato in corner dall’apparentemente passiva moglie incinta. Chi ha la meglio contro il malvagio stregone? il femminismo?

C’è qualche valore da salvare? L’amore per i propri cari. Terry docet: spararsi un colpo non è da uomini. Mentre Alcide studia da maschio alfa, cercando di prendersi la responsabilità “politica” del branco, forma evoluta di amore. Vincerà contro la corruzione di cui il “V” è il simbolo? E sui valori rimasti, spalando via, sangue, frattaglie, sesso facile e volontà di scandalizzare a tutti i costi, dobbiamo soffermarci.

Sam e Sookie: eroi in ridefinizione. I nostri personaggi positivi sono in crisi. Non essere più una semifata, non avere più nessun potere potrebbe farla tornare alla normalità? Potrebbe farle dimenticare tutto e vivere tranquilla? Sam è stanco, ma vuole lottare per quelli che ama. A proposito, perché guardare True Blood? Per poter vedere scene come quella di Sam che si rivoltola serissimamente sul pavimento come un cane mentre cerca di investigare, annusando in giro, sugli autori dell’omicidio. Sì, anche per quello. Eliminare la luminescenza, le sue capacità da fata, le intrusioni nella mente altrui è uno scoraggiato atto di egoismo da parte della nostra eroina, che semplicemente non ne può più. Lei depone le armi della speranza nella convivenza pacifica e nel “volemose bene” ed Eric, disturbato sul più bello, è costretto a riprenderle. Forse.

Il cliffhunger dell’episodio saluta l’apparizione del beneamato santo pagano: Godric.

La storyline dell’Autorità continua. Potere e religione. Salomè era la liberatrice di Russel Edgington e sapevamolo. La manipolatrice millenaria usa spregiudicatamente una misericordiosa accoglienza per tirare dalla sua parte Bill ed Eric. Parliamo dell’uso spregiudicato del potere religioso di cui si accusano le istituzioni confessionali. L’entrata teatrale di Russell provoca la fuoriuscita di zanne da parte dei nostri eroi, che poi si guardano, mantenendo l’espressione feroce e, con quel rumorino meraviglioso, le rinfoderano. A proposito dei motivi per guardare True Blood.

“La religione è l’oppio dei popoli”. Nora e Salomè sono le due facce della medaglia, la prima crede quindi vuole il potere, la seconda vuole il potere quindi crede. Russell si prende gioco del tutto. “Che dici, ci farà male bere il sangue di Lilith?” “È sangue di vampiro e noi siamo vampiri, che ci può fare?” Bill ed Eric sono i protagonisti delle ultime parole famose, e poi tutti a cercare un orgia sanguinista. Splatter rituale di TB. I vampiri sono, per natura, dei mostri sanguinari che considerano gli esseri umani come mucche da mungere e poi macellare? (vedi Jessica e Jason). Sì? No. C’è Godric, anzi il suo fantasma e l’illuminato è il cinico Eric. Potere del fisique du rol. Possiamo essere contenti di questa svolta, sempre se Eric gli dà retta ovviamente, perché, diciamocelo, il protagonista buono, positivo, l’eroe, anche se riluttante, ci vuole proprio. Ne abbiamo bisogno. Persino Lucio, il protagonista de “L’asino d’oro” di Apuleio, alla fine qualche scelta giusta la fa e da asino torna umano. Eric può pure rimanere vampiro, glielo possiamo facilmente concedere, ma l’adepto di una setta che adora una dea del sangue come Lilith, no eh?

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