Percy Jackson & The Olympians – La saga di Rick Riordan

Dopo la pubblicazione italiana dell’ultimo volume, Lo Scontro Finale, analizziamo punti forza e debolezze di una saga che ha saputo attualizzare il fascino e la ricchezza della mitopoiesi con ironia, freschezza ed efficacia.

La saga di Rick Riordan è assolutamente una buona e piacevole opera d’intrattenimento. Originale e interessante nei temi, dinamica, divertente, orchestrata da un capace narratore.

Tuttavia, a mio parere, manca di quell’eccellenza che fa di un libro un’opera universale (cioè capace di parlare a tutti) e immortale (cioè capace di parlare a tutti ora e in futuro). Manca di quelle ricchezza e complessità e soprattutto completezza omnicomprensiva proprie di immense saghe fantasy come The Lord of the Rings di Tolkien o Harry Potter della Rowling (per citarne tra le più rappresentative e con le debite distinzioni tra le due).

Questi autori hanno realizzato la creazione di un mondo (spazialmente e temporalmente altro dal reale il primo, e un multiverso intrecciato al reale il secondo) completo, coerente in ogni minimo dettaglio (si pensi alla creazione delle numerose lingue elfiche per Tolkien, o alle mappe e alle infinite cronologie e genealogie), dominato da solide regole cui è ubbidiente, autarchico (si pensi agli pseudobiblia potteriani), auto fondante, credibile. In una parola, reale.  Prendo in prestito le parole dello stesso Tolkien che in una conferenza tenuta all’Università di Saint Andrews nel 1939, divenuta poi un celebre saggio intitolato On Fairy Stories1,  disse a proposito dell’autore e narratore di storie:

“Egli realizza un Mondo Secondario nel quale la vostra mente può entrare. All’interno di esso, quello di cui egli racconta è vero: si accorda con le leggi di quel mondo. Perciò voi credete ad esso. […] Nel momento in cui la non credibilità sorge, l’incanto è spezzato, la magia, o, piuttosto, l’arte, ha fallito. A quel punto siete di nuovo fuori nel Mondo Primario, guardando il piccolo, abortito Mondo Secondario dall’esterno.”2

Ed è in qualche modo proprio quel che accade durante la lettura della Percy Jackson & the Olympians saga: qualche dettaglio, qualche affermazione, qualche adattamento, talvolta stride sputando fuori da quel mondo il lettore, limitandolo così ad un coinvolgimento discontinuo e precludendo una maggiore identificazione coi personaggi. Rendendo il libro solo un romanzo da leggere e non un mondo da vivere. 

EDIZIONE ITALIANA 4° VOLUME

Non che alla saga sarebbe mancato il potenziale una volta posto il tema. La mitopoiesi (intesa come la fabbricazione del mito) è la forma più immediata e “primitiva” di conoscenza e interpretazione della realtà; gli antichi esprimevano attraverso i racconti metaforici dei miti non solo la loro visione del mondo (vale a dire la risposta alle domande “da dove veniamo?”, “perché accade questo?”, “dove andremo?”), ma anche una sorta di regolamentazione morale (ad esempio la tragedia di Edipo è un’evidente condanna dell’incesto, la vicenda di Aracne è un ammonimento a coloro che intendono sfidare gli dèi). Conoscere i miti di una particolare civiltà significa dunque avanzare lungo una via privilegiata verso la comprensione della sua dimensione storica, sociale, religiosa e antropologica. Per noi figli della civiltà Occidentale, la mitologia greca (e quella romana che l’ha adottata e adattata al proprio tessuto sociale e rituale) è una finestra spalancata sul nostro passato e sulle nostre origini3, “perché sin dai tempi antichi tutti i pensieri degli uomini hanno preso forma da Omero…” come diceva il presocratico Senofane.

Quindi l’idea da cui prende vita la saga di Riordan è indovinata e potenzialmente forte, perché rimette in scena gli eroi dell’antichità (qui giovani ragazzi disadattati, che scoprono di esserlo perché differenti dai “normali” compagni di vita, in quanto figli di un dio e di un essere umano), l’intero pantheon cronide (quello cioè costituito dai figli del titano Crono: Zeus, Poseidone, Ade, Ares, Atena,  Era, Afrodite, Apollo…), numerosissime figure di dei minori, creature e “mostri” di ogni genere (Ciclopi, Parche, Satiri, Telchini, Centauri, la Sfinge, Circe, Naiadi e Driadi, Ecatonchiri, Dracene…) e soprattutto, come antagonisti all’Ordine e alla civiltà odierna, i Titani che guidati da Crono tentano di arruolare nuovi e vecchi alleati dando vita a una seconda titanomachia4.

Il modo in cui Riordan ripropone questi personaggi e rivisita i miti che li hanno visti protagonisti è gradevolissimo perché ironico, divertente, frizzante. L’autore riesce a dare loro nuova vita, una nuova forma (assolutamente contemporanea), un ruolo attualizzato in questo mondo moderno in cui l’Olimpo ha preso casa a New York City, al livello 600 dell’Empire State Building, e in cui i Titani minacciano di risorgere portando seco il Caos e rendendo necessari l’opposizione degli dèi e il ritorno degli eroi.

<<Gli esseri umani non vivono sullo stesso livello degli immortali. Non possiamo nemmeno ferirli con le nostre armi. Ma tu, Percy… tu sei in parte dio e in parte umano. Tu vivi in entrambi i mondi. Puoi essere ferito da entrambi e puoi influenzare entrambi. Ecco che cosa rende gli eroi così speciali. Portare le speranze dell’umanità nel regno dell’eternità. I mostri non muoiono mai. Rinascono dal caos e dalla barbarie che ribolle sempre al di sotto della civiltà, dalla materia stessa che rende Crono più forte. Devono essere sconfitti di continuo, vanno tenuti sotto controllo. Gli eroi incarnano questa lotta. Ogni generazione voi combattete le battaglie che l’umanità deve vincere per restare umana.>>
(Percy Jackson & the Olympians, The Sea of Monsters)

EDIZIONE ITALIANA 1° VOLUME

Nonostante il soggetto, come detto, indiscutibilmente interessante, i temi toccati talvolta profondi (come il rapporto tra padri e figli, l’isolamento dei “diversi”, l’accettazione di se stessi, del proprio ruolo e del proprio destino), la presenza dei tipici elementi del romanzo di formazione e del cammino dell’eroe fantastico, lo stile scorrevole e frizzante, il ritmo piuttosto avvincente per il susseguirsi di azione e situazioni limite, il testo non va mai in profondità, lasciando al lettore l’impressione di surfare sulle onde in superficie invece di immergersi nelle profondità dell’oceano che è il romanzo. Piacevole, dunque, ma limitativo.

Inoltre i protagonisti, nonostante la crescita anagrafica, ne hanno una affettiva e psicologica debole, e si presentano almeno sino al terzo libro poco sfaccettati e piuttosto prevedibili. Se per gli dei e le creature mitologiche che fanno loro da scenografia e da comprimari la bidimensionalità potrebbe considerarsi quasi un dictat, perché li rende facilmente identificabili con gli originali mitologici e consente all’autore di usarne le esagerazioni e la rigidità e portarne agli estremi azioni e atteggiamenti, per i giovani semidei protagonisti tale bidimensionalità rischia di trasformarsi in una carenza di caratterizzazione, in una staticità emotiva e decisionale, e di conseguenza in una debolezza narrativa. Debolezza che potrebbe precludere a un coinvolgimento capace di andare oltre l’azione e a una possibilità di identificazione più profonda, fattori importanti soprattutto considerando che il target di riferimento della saga sono i lettori middle grade per i primi due volumi e, in parallelo con la crescita dei protagonisti, quelli young adult per i seguenti5.

Nel quarto libro però, The Battle of the Labyrinth, si è evidenziato un upgrade qualitativo sia nella caratterizzazione dei protagonisti, sia nel “peso” dei temi affrontati, sia nella credibilità dell’intero impianto narrativo. Un’ottima premessa per il quinto e conclusivo capitolo della saga che promette, rimanendo in tema squisitamente olimpico, fulmini e saette.

Note:
1 in Italia pubblicato col titolo Sulle Fiabe in Albero e Foglia, Bompiani 2000 e in Il Medioevo e il fantastico, Luni Editrice 2000)
2 J.R.R. Tolkien, On fairy stories, 1939 – traduzione proposta in L’incantesimo Harry Potter, Marina Lenti, Delos Books.
3 Ovviamentequesta affermazione è oggettiva e valida a prescindere dalla considerazione positivao negativa che il singolo abbia di tali origini e di tale influenza. Riordan sembra essere tra i sostenitori della loro positività, come è possibile rilevare da certi brani in cui sembra osannare alla civiltà occidentale, alcuni dei quali, se letti con malizia dall’adulto o con ingenuo trasporto dai giovani cui è indirizzata la saga, potrebbero lasciare un’impalpabile scia di inquietudine: <<Cioè… l’Occidente rappresenta un sacco delle cose migliori che l’umanità abbia mai fatto… ecco perché il fuoco brucia ancora. Ecco perché l’Olimpo è ancora in circolazione>> (Percy Jackson & the Olympians, The Sea of Monsters).
4 Durante la cosiddetta Titanomachia si scontrarono appunto i Titani guidati da Crono, e i Cronidi (i futuri Olimpici) guidati da Zeus; vinsero questi ultimi, soprattutto grazie all’intervento di Gea e all’appoggio dei Ciclopi e degli Ecatonchiri (i giganti dalle cento braccia).
5 Il target di riferimento è abbastanza rigido per questa saga, che appunto fatica a proporsi come universale, per quanto anche un adulto possa trarne piacevoli ore di intrattenimento.

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