Intrighi e battaglie sono alimentate da misteri in cui la stele di Rosetta è la chiave di volta. Ma l’ombra della morte che incombe su Black Port non scoraggia il maggiore Reynold e i suoi prodi, pronti ad affrontare ogni avversità.
Una “cavalcata narrativa” su diverse, ma convergenti vie. Potrebbe essere definito così l’esordio di Fabrizio Fortino, che ne I misteri di Black Port fa propri moduli letterari rodati e consolidati, in un crescendo di azione che non esclude riflettori puntati sui protagonisti, in particolare sul maggiore Jack Reynold, tanto più eroe quanto più colto nella sua umanità.
Black Port, una città in balia dei giochi di potere della borghesia in
ascesa, nell’era post-napoleonica. Conflitti che celano misteri, resi ancora più torbidi da alcuni efferati omicidi che avvengono per la prima volta nel Baluardo, fortificazione dove risiede il XVII battaglione comandato dal maggiore Jack Reynold. Tali omicidi diventano la scusa da parte dei residenti della Cittadella per ergersi sui “rivali” del Baluardo. Salvo poi capire che qualcosa di “grosso” e inafferrabile, almeno all’inizio, si sta apprestando. Qualcosa che si nasconde nelle fogne della città e la cui natura prescinde ogni capacità di comprensione umana. Per Jack, coinvolto in un rovesciamento della situazione politica, la situazione si complica. A prendere in mano le redini del comando, con quello che si potrebbe definire un “colpo di città” (e non di Stato), è il colonnello Dagworth, in nome della Corona Inglese. È l’inizio di un’avventura che, oltre a porre il protagonista al centro di eventi del passato legati a Napoleone, gli permette di avere accesso al rimosso della memoria, scoprendo aneddoti di sé.
Ma quali sono i misteri della città portuale? Chi o cosa si aggira per le strade, seminando morte? Tutto ruota intorno alla sparizione di importanti documenti, ricercati dalle autorità neo-costituite. E, soprattutto, grande perno della situazione è la figura di un anziano, che ha avuto un ruolo cruciale in passato. Si tratta di un traduttore assoldato da Napoleone Bonaparte, conquistatore non solo di terre, ma anche di un sapere che cerca di nascondere agli altri potenti d’Europa. Tale sapere include diverse discipline tra cui quelle che danno accesso al “segreto dei morti”. Un potere immenso che nelle mani delle persone sbagliate possono minare equilibri universali consolidati, realizzando le mire folli di mitomani assetati di sete di dominio. Non a caso, infatti, la stele di Rosetta ha subito modifiche imposte dallo stesso Napoleone, per evitare l’accesso a informazioni preziose. E tali segreti, legati a quattro Portali, non a caso, sono stati poi spartiti tra le potenze partecipanti durante il Congresso di Vienna, momento decisivo per il ripristino degli equilibri nell’era post-napoleonica. Un’era solo apparentemente chiusa.
Tra i misteri, vi è quello della necromanzia. E qua non mancano gli echi indiretti del Necronomicon, libro reso celebre da Lovecraft e che tanta fascinazione ha portato tra appassionati e curiosi del mito dell’alchimia che fa risorgere i morti. Tra i misteri della città portuale, vi è anche quello degli “strisciamorte” creature che nella notte aggrediscono i vivi per nutrirsi delle loro carni. Si tratta essenzialmente di zombie: non morti, privi di sentimenti e di volontà effettiva, che dunque possono essere piegati ai fini delle menti più spietate. Creature che vengono fatte muovere in massa, costituendo in tal modo un pericolo, proprio perché agiscono in orde, sotto la guida di loschi figuri (gli Starec) che li guidano, muniti di una lanterna all’interno della quale brucia una luce verde. A parte questa differenza, si propone un tema che da Romero in poi, ha spopolato, rispetto agli zombie e alla persistenza della morte, intesa come qualcosa da cui nessuno può sfuggire. Per quanta resistenza si ponga, gli zombie proliferano e vincono perché sono tanti. Da qua i finali di molte pellicole del genere, in cui si intuisce che, alla fine i morti viventi non vengono mai sconfitti. Tuttavia nel romanzo di Fortino si aprono spiragli rispetto a queste interpretazioni.
Creature manipolate da volontà umane che ambiscono a diventare i burattinai nel mondo. La sete di potere che cerca di avvalersi di tutti gli strumenti disponibili pur di imporre il proprio dominio. Ma accanto a creature manipolate attraverso i fili dell’alchimia, si trovano anche quelle che in se stesse cercano ragioni superiori. Jack Reynold è un super uomo, forgiato da “tali volontà superiori”. Ma in lui c’è la propensione alla libertà. Non è un uomo socratico, ma un uomo d’azione, che vive la scoperta di sé, anziché riflettere su di essa. Esattamente come una jagger, Kira, la spia inviata dallo zar di Russia con l’incarico di trovare il traduttore. Una sorta di Nikita, che ha dentro di sé, come Jack, i semi di sentimenti che tendono a sfuggire ai condizionamenti dell’ addestramento. Lei e Jack sono molto simili e nella convergenza c’è la matrice della loro attrazione. Scoprono quindi un sentimento mai provato, che si esplicita in abbracci, cui seguono improvvisi distacchi. Timore di quello che sentono sbocciare dentro, ma anche orgoglio rispetto alla loro missione. Anche se alla fine, emergono le fragilità che rendono i due super-protagonisti umani. Disarmati diventano disarmanti agli occhi dei lettori, ben oltre i Superman e le Wonder Woman della situazione.
Non mancano poi figure come il misterioso Olandese, che con i suoi Diavoli, vive oltre la soglia della legalità, scoprendo nel nemico Reynold, un amico, che gli consente anche di riscattare ciò che è stato sottratto alla sua famiglia. L’Olandese, temperamento opposto al sergente Robert Smith – grassoccio, fedele, che ricorda Sancho di Tex Willer, anche se non è privo di una certa abilità in battaglia ed è decisamente più coraggioso – è una figura oscura e temuta, che tuttavia, nelle vicende, rivelerà, forse paradossalmente, una maggiore eticità rispetto ad altre figure di spicco, che si adombrano di onorabilità in virtù dell’appartenenza a un determinato rango. Vi è infatti l’asservimento al potere e alle logiche, che portano a ordire intrighi e a tradimenti, basati su giochi d’interesse che non distano di molto dai meccanismi attuali. La brama di potere, come dimostrano anche la vicenda di Napoleone e i rovesciamenti di governo della città, sono la scintilla di questa fiamma che dilaga. Una fiamma che può diventare incendio, distruggendo molti di coloro che operano con supposta furbizia, trovandosi alla fine vittima del loro stesso intrigo. Nessun intento moralistico, solo lo svelamento di meccanismi e gli esiti connessi, in funzione della trama.
I misteri di Black Port presenta un’azione serrata in un intreccio avvincente. Le descrizioni delle battaglie sono molto coinvolgenti e alcuni colpi di scena, poco prevedibili, “funzionano”. Non manca un pizzico di sentimento, che tuttavia si perde nei meandri dell’azione. Non c’è tempo per le disquisizioni, solo attraverso l’azione si può arrivare in fondo ai misteri della città. Mozzafiato anche alcune scene di attacco da parte degli “strisciamorte. Al contempo vi è una certa sensibilità di penna nel dipingere a rapidi tratti personaggi che vivono tormenti interiori. L’autore allestisce una bella galleria di personaggi. Qualche difetto si rileva nella scrittura con alcuni punti in cui si rilevano ripetizioni, sviste in sede di editing, che tuttavia non compromette lo stile, buono e che “scivola via” alla lettura. Stile che deve molto al fantasy di cui Fortino è appassionato lettore. Non a caso ringrazia Terry Brook alla fine.
L’AUTORE 
Per Fabrizio Fortino la scrittura è un tarlo che lo “perseguita” fin dalla più tenera età. Numerosi i lavori che non vedranno mai la luce e che riversa su bloc-notes e quaderni. Cresce e si cimenta in diversi ambiti artistici: disegno, pittura, modellismo. Artista poliedrico che si lascia contaminare da qualsiasi genere e stile, accogliendo con entusiasmo suggerimenti e consigli da chiunque sia disposto a dargliene. La sua vecchia passione riemerge in età adulta e confluirà nel primo lavoro, I misteri di Blak Port.