Tre volte all’inferno – Cristian Borghetti

Tre porte aperte su un inferno costituito da percorsi visionari, tra eros e thanatos, creature seduttive e mostruose. Il tentativo di aprire uno spiraglio nel gotico-horror italiano, in cerca di una cifra stilistica.

Da Edgard Allan Poe a H.P. Lovecraft, passando per Arthur Conan Doyle e De Sade, per arrivare a tempi più recenti qualcosa che ricorda V.M. 18 di Isabella Santa Croce. Sono queste le principali influenze e i principali -oltre a quelli mitologici –  riferimenti ritrovabili nei tre racconti lunghi di Cristian Borghetti, un autore di talento, ma che deve ancora definire il proprio stile. 

L’inferno si dischiude tre volte per l’autore italiano, che si cimenta in un primo tentativo, cercando di rompere il ghiaccio editoriale, in un Paese che ancora soffre di certo snobismo letterario, al contrario di altri in cui la letteratura di genere  quali il gotic-horror, il fantasy è ampiamente apprezzata dalla critica, oltre che da un folto pubblico di lettori. Con Borghetti il passo in avanti si è cercato di farlo, anche se malgrado il talento visionario  dell’autore, si manifestano diverse criticità stilistiche.

Un autore di talento in cerca di una cifra stilisticaIl bacio di Medusa è la prima vicenda. Una serie di morti vedono coinvolte alcune ragazzine, i cui corpi dilaniati vengono trovati sui terreni di Bosco Oscuro, appartenenti al Marchese Asmodeo Colonna. Gli indizi conducono alla Magione del Signore, che nasconde non pochi, perversi segreti. A contrapporsi all’uomo il colonnello Ferramano, uomo di giustizia, che ha ancora nel cuore, Medusa, la sorella del marchese, ovvero la ragazzina amata diversi anni prima, ma strappata prematuramente dalla morte. Quando sembra che finalmente la giustizia faccia il suo corso, ecco che il potere ha il sopravvento sulla lealtà di Ferramano.

In questo primo cimento, ambientato in un Medioevo non ben definito, troviamo ricalcato un classico, Il mastino di Baskerville di Conan Doyle, anche se non mancano riferimenti a De Sade, per la pesante atmosfera di depravazione sessuale che regna. Il racconto si struttura secondo il rovesciamento, ma è anche l’allegoria di una giustizia oscurata dal potere, un mix di corruzione e depravazione. Sembra non capitare a caso questa vicenda, che ha implicazioni con l’attualità del nostro paese, in cui i rapporti tra giustizia e potere danno adito a un forte dibattito. L’autore conduce il lettore nel cuore della vicenda, invitandolo con tono seducente a entrare nella storia. Il Bacio della Medusa è a tratti toccante, ma come per gli altri racconti, ha come neo (o punto di forza, se visto come ricerca?): lo stile, aulico, ripetitivo, che riesuma quello di autori classici, resta una chiave di accesso complessa, soprattutto per un lettore medio.

Il successivo episodio, Il canto di Lucifero (ballata in Dio minore) è quello più riuscito e presenta una costruzione avvincente, oltre che una vicenda dotata di una sua originalità, pur nei richiami a lavori quali Il fantasma dell’opera, e nelle evocazioni a lavori di Dario Argento. Protagonista nella Parigi della Belle Epoque, è uno scrittore, autore di un perverso parto della mente, in cui immagina che l’attore principale massacri i colleghi in scena con lui. Un bagno di sangue sul palcoscenico, accompagnato dalla presenza di una donna –o creatura– di una bellezza indicibile, ma che, al contempo, reca in sé qualcosa di diabolico. Originale l’arma del delitto, ovvero la corda di violino, strumento che nell’horror ricorre particolarmente, sia per i particolari suoni che produce, che per la conformazione dello strumento. Basti pensare al film, pur se di serie c, Paganini horror, dove una maledizione e un violino sono al centro di eventi atroci.

Il mastino di Baskerville, l’opera cui si ispira Il bacio di Medusa

La seconda porta sull’Inferno si apre bene, complice una costruzione più pulita, con un ritmo più fluido rispetto agli altri racconti. I meccanismi narrativi fanno scattare trappole inaspettate per il lettore, mentre la definizione dell’ambiente e del contesto storico si avvale ancora una volta di una fusione di elementi differenti. Siamo nella Parigi dei divertimenti raffinati e della sensualità meno chic. Anche in questo racconto momenti erotici spinti conducono alla perdizione, mostrando l’intimo legame con la morte e il sangue. Non manca la fata verde dell’assenzio diventa una creatura malvagia, generatrice di incubi, di cui il protagonista, sembra essere prigioniero senza possibilità di scampo. La vicenda si struttura secondo scatole cinesi, in cui risvegli si susseguono, dando seguito a nuove, inquietanti situazioni, nonché una strategia in uso nella letteratura e nel cinema del genere per raccontare una vicenda da cui sembra che non ci sia mai possibilità di scampo, anche quando tutto sembra risolversi.

Una simbologia ricca di implicazioni culturali, un’ambientazione medievale e una forte componente letteraria e psicologica per Il labirinto del Basilisco (il sagrato, l’ombra, la paura). Una cittadina di provincia italiana è sconvolta da misteriose vicende e da due morti. La Chiesa indaga, mentre un uomo, coinvolto nel mistero, viene perseguitato da ombre minacciose: un monaco senza sguardo, un orrendo basilisco e un’imponente torre che racchiude a sua volta un enigma. Il protagonista compie una discesa negli inferi che, per ironia della sorte, si svolge in un edificio sacro. Da qua riemerge come detentore di alcune, sorprendenti verità.  La vicenda diventa il simbolo di un percorso di conoscenza in cui paura e fascinazione si intrecciano, insieme a vicende oscure. Malgrado infatti ci siano immagini di grande effetto, questo racconto si svolge su un piano simbolico e psicologico talmente elevato, da risultare troppo macchinoso e giocato su un piano astratto per il lettore.

Fin dalle prime pagine, malgrado alcune interessanti premesse, in Tre volte all’inferno ci si sente proiettati in situazioni stranianti e ridondanti. La fitta rete di simbologie, la mitologia classica, una cultura preziosa, i continui richiami a quel Medioevo, ricco di misteri, cui però l’Italia è ancora –troppo– legata, confluiscono nei tre romanzi brevi. Ma in quest’aurea “alta” si pongono dei limiti. La ricerca di Borghetti, autore che ha un talento da cesellare e in possesso di una cultura e di una visione delle cose per niente superficiale, sembra dettata dalla necessità di tornare al passato per scrivere un’opera gotic-horror che guardi al futuro. E’ quello si chiama essenza del post modernismo, ovvero innovare canoni artistici –qua letterari–, riprendendo il passato. In questo tentativo si rischia però di scivolare nell’imitazione –che diventa emulazione–, ma soprattutto, nella spersonalizzazione. In tal senso l’autore deve ancora definire uno stile personale, più fluido, sfrondato da alcuni eccessi linguistici, libero da termini desueti –salvo eventuali contesti adeguati in cui inserirli–,  dunque più immediato e che colpisca il cuore, guardando all’essenza della contemporaneità, per slanciarsi verso il futuro.

L’AUTORE:

Cristian Borghetti.  Nato a Lecco il 10 settembre 1970, ha studiato Estetica all’università di Milano. Nell’ottobre 2006 ha pubblicato la raccolta Ora di vetro (Montedit).

Tre volte all’inferno

di Cristian Borghetti
Editore: Perdisa
Collana: Pop
Prezzo: 18,50 €

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