John Carter: da Marte con furore

Il 9 marzo arriva sul grande schermo il film che ci porterà a calpestare il suolo marziano insieme all’avventuroso personaggio creato da Edgar Rice Burroughs nel lontano 1912.

È incredibile quante novità cinematografiche tornino indietro nel passato a riscoprire storie che stanno alle origini della fantascienza e del fantasy di oggi.

Il regista Andrew Stanton, premio Oscar per Alla ricerca di Nemo del 2003 e famoso anche per il bellissimo Wall·E, lavora da molto a questa trasposizione del romanzo John Carter di Marte, conosciuto anche come Sotto le lune di Marte o La principessa di Marte, del papà del ben più famoso Tarzan. I motivi per cui attendere questo film sono molteplici e sono tutti riconducibili a una virtù di cui oggi c’è molto bisogno: il coraggio umano.

Partiamo dall’autore: Burroughs, prima di decidere di mettersi a scrivere, era sull’orlo del suicidio. Aveva svolto mille mestieri e mai nulla lo aveva soddisfatto. Poi, presa in mano la penna, è divenuto uno degli scrittori più venduti del suo tempo: Tarzan, John Carter e altri, nell’ambito della letteratura pulp di inizio secolo, hanno influenzato profondamente la letteratura di genere, innervando i fumetti, la fantascienza e il fantasy. Quando oggi ne leggiamo non siamo pienamente consapevoli di quanto dobbiamo al talento narrativo semplice ed efficace di Burroughs.

Continuiamo con il regista, Andrew Stanton, che è stato nel team creativo di Toy Story, il primo film animato interamente reso al computer, della Pixar, la creatura dell’incredibile talento innovativo di Steve Jobs di cui in questi giorni si piange la scomparsa. Quando approdò in quella che era una impresa nel campo informatico era un disegnatore esperto di animazione, l’unico a non capirci di computer. Dal talento, dalla fatica e dalla fiducia nel futuro possono nascere cose grandi. Proprio il messaggio fondamentale del testamento spirituale di Jobs. La poesia di Wall·E ci può far ben sperare che la storia di John Carter venga raccontata da questo regista con maestria e senza banalità.

E ora il personaggio principale: quando John Carter, senza sapere come, capita su Marte, non ha nulla con sé e non sa nulla. È un capitano sudista che, come ogni eroe western, sa cavalcare e tirare magistralmente di spada e, aiutato dalla minore forza di gravità del pianeta, può contare su forza e agilità superiori a quelle degli altri abitanti. Così si destreggia combattendo fra esseri mostruosi alieni e varie tribù sempre in guerra fra loro che popolano il pianeta divenendo per Barsoom, così è chiamato lì Marte, l’uomo del destino, l’unico che può salvare la situazione. Accumula cadaveri con lo stile di Conan il barbaro, coltiva l’onore come un veterano Sudista e corteggia una bellissima principessa.

La ricetta di Edgar Rice Burroughs è semplice: avventure impossibili in luoghi esotici e strani. E un uomo con la dose giusta di coraggio può cambiare il destino di un mondo. Abbiamo bisogno di coraggio oggi, questo è certo e il cinema, infallibilmente, ce ne vuole fornire dosi massicce. Insieme ad adrenalina aggiunta, eroi muscolosi, donne discinte e mirabolanti imprese. Gli stessi miti dell’inizio del Novecento. L’importante è che, in prospettiva, non finisca tutto nella stessa maniera.

Dopo alterne e tempestose vicende i diritti cinematografici del film sono passati alla Disney e, ora che la tecnologia consente di tirar fuori dagli sforzi dell’immaginazione la fantasia incredibile di Burroughs, il budget per questo film ha toccato i trecento milioni di dollari, uno dei più alti della storia del cinema.

Il protagonista, Taylor Kitsch, è abbastanza “morbido” e aitante per non farci sentire lontano quest’eroe solitario; potremmo aver notato questo giovane attore nel personaggio di Gambit in Wolverine Le origini. La principessa marziana è Lynn Collins e, tra i nomi noti, spicca Willem Dafoe, nel ruolo di Tars Tarkas, uno degli “alieni verdi” alti tre metri.

Nell’attesa che venga marzo godiamoci il promettente trailer con una cover di My Body Is a Cage degli Arcade Fire eseguita da Peter Gabriel.

 

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